“La resistenza del maschio”, Elisabetta Bucciarelli
NNEditore 2015
pagg 240
Prezzo : 10 €
Si può amare un libro e, in assoluta e spericolata controtendenza rispetto a svariate centinaia di lettori, detestarne il protagonista? E si può, malgrado il detestato protagonista, leggere il romanzo con profonda partecipazione, tanto da suggerirlo con convinzione ad altri?
Si può. Io l’ho fatto, perché il libro del quale sto per parlarvi è bello e importante. E fa pensare.
Ecco quindi “La resistenza del maschio” (NNE), il nuovo romanzo di Elisabetta Bucciarelli: vero caso letterario anche per il dibattito che ha immediatamente suscitato fra i lettori, il libro è andato in ristampa già poche settimane dopo la sua pubblicazione. Non è cosa, questa, che in Italia succeda spesso, ma va spiegato ai meno informati che Elisabetta Bucciarelli è una delle più brillanti scrittrici italiane dei nostri giorni e c’è sempre molta attenzione attorno ai suoi lavori, che si tratti di noir, polizieschi, saggi o testi teatrali.
La trama? Saranno le parole stesse dell’Autrice a riassumerla, perché il tessuto del libro, leggero ma tenace, non consente smagliature e non voglio rischiarne: meglio affidarlo a chi lo ha creato. Posso anticipare che ne sono protagonisti un uomo brillante e di successo, “M”, marito di “F”- molto meno appagata di lui- e tre donne che si incontrano casualmente nello studio di un medico (ma sarebbe più corretto ricordarne anche una quarta: leggete il libro e saprete perché); gente dei nostri giorni, storie comuni, fatti molto quotidiani che diventano emblematici grazie alla sensibilità e all’attento lavoro di ricostruzione psicologica dell’Autrice.
“Chi e come sono gli uomini oggi?” si chiede e ci racconta Elisabetta Bucciarelli attraverso la storia di questo maschio resistente, spiegato dal punto di vista maschile e femminile, in un gioco di equilibri che solo una scrittrice davvero capace può portare a termine con successo: e infatti sono moltissimi i lettori che le scrivono di riconoscersi nel protagonista e altrettante le lettrici che, le dicono, saprebbero/potrebbero/vorrebbero farlo innamorare di sé.
Io no. Lo so, ci vuole sfrontatezza per dire all’Autrice che se una mia amica si innamorasse di un tipo così le consiglierei di starne alla larga, anzi alla larghissima, mentre, al contrario, le donne che si incontrano nello studio del medico, quelle sì mi sono piaciute, e molto; ci vuole sfrontatezza, ma anche amore per la sua scrittura e infinita stima della sua sensibilità, perché Elisabetta Bucciarelli rende così credibili i personaggi da obbligare il lettore a considerarli reali: se simpatici o no, se affascinanti o urtanti, se amici o antagonisti… beh, quello dipende dal vissuto di ognuno.
Ho letto molti suoi libri e mi sono piaciuti tutti: e mi è piaciuto anche questo, malgrado (o forse grazie?) a un maschio resistente.
Anzi, Elisabetta, lo sai (perché anche questo ti ho detto): questo libro me lo rileggerò.
Ecco di seguito l’intervista a Elisabetta Bucciarelli, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.
N.B.: Il sonoro comprende anche la lettura, fatta dall’Autrice alla fine dell’intervista, di alcune pagine del suo romanzo.
Canzone consigliata: ” Nothing Else Matters “, Metallica
Giancarla: … E finalmente ci sono riuscita! Finalmente sono riuscita a portare in questo piccolo salotto Elisabetta Bucciarelli per parlare di un uomo (anzi, di un maschio) molto particolare: però così ho il vantaggio di avere seguito, grazie alla tua gentilezza, non soltanto la nascita di questo tuo bel romanzo, ma anche la sua evoluzione e il tuo rapporto con il pubblico, che è sempre più vivace. Elisabetta, benvenuta!
Elisabetta Bucciarelli: Grazie, Giancarla: sono molto contenta di essere qua con te.
G.: Hai visto? Ce l’abbiamo fatta! Però, come sempre, chiedo la cortesia di raccontare brevemente la trama del libro (e non è una cosa facile!)
E.B.: Non è facile se vogliamo essere complessi ma, come direbbe l’Uomo del libro, in proiezione ortogonale si può semplificare, senza banalizzare, essendo la trama veramente semplice. E’ la storia di un uomo che sembrerebbe avere tutto: un lavoro, una famiglia, una moglie, una cerchia di amici che lo sostiene, con cui passa il suo tempo libero, e quindi un “uomo di successo”, possiamo chiamarlo così. Una notte, rientrando da uno dei suoi impegni di lavoro, assiste involontariamente, perché non ne è coinvolto direttamente, ad un incidente di macchina: nell’incidente è coinvolta una donna. Da questo momento in avanti la vita di quest’uomo cambierà: avrà una modifica di punti di vista, di orizzonte. Parallelamente a lui, all’interno di uno studio medico sono riunite tre donne, molto diverse fra di loro, che stanno aspettando un uomo che dovrebbe essere in grado di curare, perché è un medico: aspettano un intero pomeriggio e iniziano a parlare, come spesso accade quando non ci si conosce ma si ha voglia di riempire il tempo con le parole. Le due storie, quella dell’uomo e quella delle tre donne, nel libro corrono come in parallelo e in più punti avranno dei contatti, fino all’epilogo finale.
G.: Ovviamente lasciamo ai lettori scoprire quali siano queste connessioni: ma perché hai pensato di scrivere questo libro, se posso chiedertelo?
E.B.: Sai che è la domanda più difficile? … Vediamo di rispondere: io credo che ognuno dei miei libri è motivato da una rabbia di fondo, dalla volontà, quindi, di indagare qualcosa che crea un disturbo, che crea un distacco dalla linearità della comprensione. Io avevo bisogno di avvicinarmi a queste forme – le chiamo così- di maschile “differenti”, a questi modi di proporsi e di imporsi a volte, o di accostare le donne, altre volte, che hanno gli uomini in questo momento. E’ troppo facile prendere le distanze e dire “Non ci comprendiamo, non c’è punto di incontro, non c’è possibilità di capirsi perché siamo diversi”: è vero, è un dato di fatto, però occorre anche cercare di capire la fatica, gli sforzi che stanno facendo alcuni uomini, e soprattutto quelli che io voglio raccontare, per proporre dei modelli nuovi, che siano differenti da quelli cavalcati e perseguiti fino a questo momento; quindi il desiderio e la necessità di questo libro si è mossa da questo, capire meglio “il maschile”. Sono madre di un figlio maschio e credo che una delle domande più importanti che si possa fare una madre è: “Quali modelli propongo a questo piccolo maschio che cresce?”. Una delle tante risposte è “Guardiamo quello che esiste, quello che c’è di particolare, soprattutto, nei modelli, quello che fa la differenza”. Mi sembrava interessante raccontarlo.
G.: E che cosa hai visto?
E.B.: Ho visto una grande fatica: intanto, un peso veramente sostanzioso che questo maschile si deve portare appresso. Quando parlavo di “modelli” intendevo proprio quelli che si riferiscono a questa grande parola, avere “successo”, avere un lavoro che ti concede uno stipendio ogni mese, aderire alle aspettative del femminile: quindi devi essere forte, capace di avere cura, di sostenere, di stare in piedi da solo, di mantenere e anche essere marito e padre. Sono tante cose e molto difficili, tutte insieme. Non facciamo sconti, noi donne, agli uomini: o li studiamo, e quindi ci dobbiamo difendere, oppure ci allontaniamo e facciamo fuori la questione dicendo che “non sono all’altezza”, che sono poco forti, che sono inconsistenti, che scappano. Quello che ho potuto osservare io è che a volte questi uomini partono con dei preconcetti nei confronti delle nostre richieste, del nostro avvicinarci e cercano in qualche modo di scantonare, proponendo delle cose che assomigliano molto a quelle che noi per tanto tempo abbiamo proposto: quindi il tentativo di utilizzare una chiave più “femminile” (utilizzo un’altra parola che è piena di contenuti) per esserci; una chiave che, ovviamente, spiazza e depista dai nostri percorsi. Questa, che è una geografia molto complessa, è, dal mio punto di vista, intuibile: ancora non ne vediamo i risultati concreti se non nelle generazioni tra i quaranta e i sessant’anni, che si rimettono in gioco e che hanno voglia di costruire rapporti. Penso che ci siano dei cambiamenti in corso, delle piccole mutazioni, e credo che valga la pensa di prenderli in considerazione con comprensione.
G.: Quindi, Elisabetta, tu hai osservato, studiato, preso nota e poi, nella fase della scrittura, hai riproposto modi, comportamenti e ragionamenti che avevi visto e, forse posso dire, appreso, o li hai pensati tu, cioè sei diventata maschio?
E.B.: … Eh! Allora: intanto ho preso nota, perché questa è una mia modalità di indagine; ho riempito quaderni di parole che ho ascoltato, interviste che ho fatto, gli uomini che ho avvicinato e che si sono lasciati avvicinare da me, persone con cui sono entrata in relazione affettiva profonda e che mi hanno in qualche modo dato materiale vero, perché qualche rischio va corso nella vita, no?, se si vuole fare esperienza e poi poterla raccontare metabolizzandola attraverso la scrittura e il processo creativo. Quindi c’è una forte fase di conoscenza e di ascolto, che per me è fondamentale prima di scrivere un libro; dopo di che c’è il lavoro, per la prima volta molto difficile, dello “stare dalla parte” del personaggio maschile, perché la vera sfida è stata bilanciare i pesi. Giocavo facile parlando del mondo femminile, quindi ho dovuto diminuirlo, renderlo più fragile, mentre per parlare degli uomini mi sono dovuta affezionare molto, ho dovuto volere molto bene al mio personaggio: stare dalla sua parte, prendere le sue parole, il suo punto di vista, veramente quasi in maniera totale è stata la fatica maggiore, tanto che mantenere i due pesi è stata la cura maggiore che ho avuto all’interno del romanzo.
G.: Ritornerei sul concetto di “resistenza” come lo hai raccontato tu, se l’ho capito bene prima. Tu dici: “Le donne hanno tradizionalmente avuto alcune modalità di comportamento che ancora hanno, e questo va bene; quando le hanno gli uomini arrivano i problemi”; cioè stai dicendo che l’uomo, il maschio, si è “femminilizzato” in un certo modo forse anche di manipolare le cose?
E.B.: In quello che tu mi chiedi leggo subito – perché la parola “manipolare” me lo evoca- un’accezione negativa. Io credo che questo femminile e maschile, se si esce dalle categorie dei vocabolari, del genere, mette insieme alcune caratteristiche per sommi capi, per cui ciò che è femminile e ciò che è maschile in realtà è da tempo che non assomiglia più a quel concetto di femminile e maschile che ci portiamo dietro dal Medio Evo; quindi questo scambio di atteggiamenti, di emotività, di delicatezza, di modo di porsi all’interno del mondo e della società secondo me si è ormai trasferito da una parte all’altra, si scambia facilmente. Ma non è questo il punto: il punto è proprio nel modo di concepire la relazione; lì c’è un cambio di prospettiva. Quello che in origine noi rivendicavamo come necessario per poter costruire una coppia, una famiglia, in questo momento molti uomini non lo riconoscono più, non lo vogliono più, e non per essere quelli che io chiamo, categorizzandoli, i “minus 3.0”, cioè uomini che pensano solo all’accoppiamento selvaggio (permettimi di definirlo così), ma anche all’interno di una relazione stabile, duratura e monogama e quindi con unità di spazio e di luogo: per esempio, lo stare tutti e due all’interno della stessa casa, o il condividere per forza un figlio, quindi la famiglia non è di sole due persone (se si è in quattro o cinque allora si diventa una famiglia davvero); il fatto di partecipare di una vita sociale e relazionale differente, che lasci degli spazi di libertà e di manovra “altra” (non sono per forza rapporti affettivi o amorosi: magari altre condivisioni affettive di un’altra natura). Ecco: vedo delle “geografie” – è proprio questo il termine che mi piace – e delle “geometrie” – che è quello che piacerebbe all’Uomo del libro – che si stanno componendo in modo diverso. E’ molto difficile trovare delle categorie dove metterle, perché è proprio questo che l’Uomo del libro rifugge, l’essere categorizzato: quindi faccio fatica a creare un modello, ma osservo che c’è un movimento, che ci sono delle danze nuove, dei modi differenti, anche grazie- per sfortuna, da un certo punto di vista- alle tecnologie che abbiamo a disposizione e che ci permettono di avere relazioni senza neanche quasi guardarci negli occhi, toccarci.
G.: I lettori ti vogliono bene e hanno accolto da subito, proprio dalle primissime settimane, anche alle presentazioni, questo tuo libro: il successo continua e naturalmente ne siamo molto felici- non meravigliati, ma assolutamente felici. Hai detto prima “Io ho dovuto voler bene a “M”: ma se i lettori vogliono bene a te, a “M”?
E.B.: “M” è l’Uomo: tu già lo chiami come se lo conoscessi e mi piace questa cosa! “M” è l’Uomo, è soltanto l’iniziale del suo nome, come “F” è la donna, è l’inziale del suo modo di vederla, perché lui la vede come una Figura (ed è molto simbolico questo: quando lo scrivevo, mi rendevo conto che era proprio un’immagine di questo femminile). “M” ha questo suo modo di muoversi nel mondo che, in qualche maniera, a prescindere dalla mia volontà, gli sta attirando grande affetto: gli uomini si sentono identificati e io, per la prima volta, ho un numero così alto di lettori maschi, che mi scrivono, che disegnano le pagine del libro, che lo fotografano e che mi dicono che si sentono capiti; questo mi fa ovviamente un grande piacere e mi commuove, anche; mi fa capire che comunque esiste questo “maschile” che io ho intuito dalla mia indagine, ma è molto più numeroso di quanto io potessi immaginare. Allo stesso tempo (e questo è il secondo stupore: di questo sono fortemente stupita), le donne lo amano perché pensano di poterlo fare innamorare di loro, e questa è un’altra cosa bellissima. Una lettrice mi ha scritto: “Elisabetta, io so che cosa fare perché questo uomo decida di ….” (e poi non voglio svelare di più, perché se no tolgo il piacere della lettura): è questa nostra ostinazione femminile che continua a voler cambiare, modificare, inserirci, invece che metterci in ascolto. Molte lettrici, invece, hanno capito che nei tre frammenti di femminile all’interno della sala d’attesa ci sono delle nostre posizioni nei confronti dell’esistenza: una, in particolare, che è della donna più giovane delle tre, che invece riesce a mettersi in ascolto, a guardare questo uomo che si muove, a cercare di capire che cosa desideri veramente, accordarsi con questo desiderio senza però rinunciare a mantenere la sua posizione. E infatti non sappiamo come andrà a finire fra di loro, ma alle donne piace l’idea di potersi rimettere in gioco con una figura maschile così, che è un po’ sfuggente, è un po’ presente, ma in realtà sta proponendo un movimento differente dal solito movimento maschile.
G.: Si potrebbe anche parlare della sottrazione, che non è negazione: quest’uomo che resiste qualcosa sottrae, forse, anche a se stesso, non so…Però alla fine è certamente padrone della situazione.
E.B.: Sì, beh, questo uomo fa soffrire: tutte le volte che qualche cosa è inafferrabile o si sottrae fa inevitabilmente soffrire, quindi lui lavora per differenza (non a caso tu hai usato la parola sottrazione, perché lui pensa anche per negazione, che è una cosa tipica dei poeti); mette il “non” davanti, prima di ogni pensiero e prima di affermare toglie, ma non è un pensare per negazione, è togliere tutto ciò che non è importante, cioè cercare di arrivare al dunque, al centro, al punto, alla freccia che arriva dove deve arrivare, a prescindere dal bersaglio. La freccia viene scagliata e colpisce comunque, anche se il bersaglio è in movimento, anche se il bersaglio non c’è: la direzione è quella. Lui lavora un po’ così: si tratta, appunto, di trovare una traiettoria giusta per riuscire a operare un’azione uguale e contraria. E’ una sottrazione, sì, e fa soffrire, ma non scappa quest’uomo: c’è, e sempre.
G.: Avete capito perché bisogna leggere i libri di Elisabetta Bucciarelli, e questo è un libro che, pagina per pagina, come altri e in questo caso in una forma diversa, fa pensare prima, durante e dopo la lettura. Elisabetta, ti ringrazio e invito alla lettura di questo libro e anche a mettersi in contatto con te, perché sei molto attiva anche sui social, tu corrispondi!
E.B.: Sì: io corrispondo e non resisto, perché il mio lavoro va avanti: è il primo libro sul maschile.
G.: Grazie anche per questa anticipazione e…buona caccia, buona ricerca: scegli tu l’accezione che preferisci!
E.B.: Giancarla, grazie di questa conversazione: poi io so che hai anche tu le tue cose da aggiungere… Quindi aspetto i tuoi commenti.
G.: … Che saranno positivi, ovviamente!Grazie!