Andrea Camilleri
Ci sono cose che il buonsenso suggerisce di evitare: buttarsi da un aereo senza paracadute, mangiare due chili di anguria gelata prima di coricarsi, prendere il sole ai Tropici senza protezione… Stupidaggini così…
Nella mia vita non ho fatto nessuna di queste cose avventate, per cui mi sono convinta di meritare il titolo di “Persona Assennata”: però non si è mai buoni giudici di se stessi, e infatti mi sono riconosciuta una qualità, la prudenza, che non posseggo.
Lo dimostra il fatto che sto per infrangere un’altra regola aurea del mio mestiere: per non scadere nella banalità o nel già detto, evitare di parlare di qualcuno o di qualcosa di cui già tanti augusti intellettuali si sono occupati; se poi si tratta di uno scrittore famoso, peggio che andar di notte.
E se lo scrittore famoso, fino ad oggi (e il calcolo è per difetto), ha venduto circa dieci milioni di copie in tutto il mondo? Alla larga bisognerebbe starne, alla larghissima.
Ma il Nostro si chiama Andrea Camilleri e io proprio non riesco a sottrarmi alla voglia spericolata di condividere le impressioni ricavate dalla lettura del più recente capitolo della saga di Vigàta:“La giostra degli scambi” (Sellerio Editore, Palermo, 2015).
Mi sono tuffata nelle sue pagine, devo dire la verità, col timore che qualcosa nel perfetto meccanismo dei racconti con il Commissario Salvo Montalbano potesse essersi inceppato: “Dopo tanto tempo e tante parole, dopo tanti personaggi e altrettante storie, potrà Camilleri essere ancora convincente, divertente, affascinante?”
“Domanda inutile” risponderebbe Lucio Battisti, perché fin dal fulminante e godibilissimo incipit troviamo il migliore Camilleri che, come fosse già una sceneggiatura, descrive minuziosamente una surreale lotta fra il Commissario e una grandissima camurrìa di mosca (che potrebbero essere due), seguita da una scazzottata per impedire a un brutto tipo di fare del male ad un tale già a terra (ma potrebbe essere questi la vera vittima da salvare), il che gli procura anche un fermo dei Carabinieri, oltre ad un occhio nero e un’orecchia morsicata.
Ma come?!
Lui, Commissario di Polizia intervenuto come il Settimo Cavalleggeri per impedire un massacro, lui, il Buono, l’Angelo Salvatore (scusate il gioco di parole) viene scambiato per il Cattivo? E per di più, proprio dalla “concorrenza” ? Paradossale!Eppure, proprio dal chiedersi se nella vita si riesca davvero a capire chi sia veramente la vittima e chi il colpevole vero – che si tratti di una mosca o di un essere umano non importa – si dipanerà la soluzione del caso…. Dei
due casi, veramente…
Il primo: due donne, entrambe sulla trentina ed entrambe impiegate di banca, vengono rapite da un misterioso e ripugnante essere, travisato con sciarpa e coppola; nessuna violenza viene consumata, nessuna rapina compiuta. Le donne sono attirate in trappola col trucco dell’auto in panne, e quindi narcotizzate. Poi, una terza viene torturata e sembra salvarsi per puro caso. Il maniaco, se di un maniaco si tratta, si fermerà o potrà prenderci gusto e trasformarsi in assassino?
C’è un legame – e se sì, quale – che unisce i rapimenti o le vittime?
Il secondo: nel negozio di un viveur di paese, un tale pieno di donne e debiti che vive di apparenza e al di sopra delle sue possibilità, scoppia un incendio; doloso, si scoprirà presto. Pizzo non pagato? Vendetta passionale? Trucco per imbrogliare creditori e assicurazione? La risposta potrebbe arrivare solo dal commerciante, del quale, però, dopo il rientro da un viaggio all’estero si sono perse le tracce.
Due inchieste separate, o un unico crimine abilmente architettato?
C’è di mezzo la follia? Si tratta invece di un diabolico piano? O che altro?
Sempre più alle prese con i dubbi suscitati dalla sua età, Montalbano qui si interroga su quanto ci si possa sbagliare basandosi sulle apparenze; e che “le apparenze ingannano” gli viene suggerito nientemeno che dalla mafia, la quale aiuta un poliziotto a risolvere un caso perché non vuole avere più colpe di quante non ne abbia già: per Montalbano, un altro paradosso con cui confrontarsi.
Ma, paradossale o meno, il libro, sigillato anche da un finale perfetto, è l’ennesima testimonianza del talento immenso di Andrea Camilleri.
Ecco: l’ho detto.
Andrea Camilleri ha un talento immenso.
Più banale e prevedibile di così non avrei potuto essere, ma questo è quello che penso e quindi lo dico (anzi: lo scrivo).
… Invocando la clemenza della Corte, sia chiaro…
Canzone consigliata: “L’apparenza”, Lucio Battisti