…E dove mai, se non in una galleria d’arte di Cortina d’Ampezzo, avrei potuto incontrare Marta Marzotto?
Giusto in Costa Smeralda, altro luogo che la Contessa aveva contribuito a lanciare nel jet set.
“Marta da legare” quel giorno era la madrina di un vernissage, e io non potevo certo lasciarmi sfuggire l’occasione di incontrarla.
Dovevo scontare, lo confesso, un grande pregiudizio nei suoi confronti: “Sarà fatua, capricciosa, scostante…”
Invece…
E’ arrivata puntualissima, indossando un capo di pelle lungo fino ai piedi, foderato della stessa pelliccia del colbacco che avrebbe tenuto per tutta la durata dell’evento: il Galateo, si sa, impone che una vera signora non si tolga mai il cappello.
“Primo preconcetto smontato: non si atteggia a diva”, ho pensato con sollievo.
Ci siamo sedute per iniziare la nostra chiacchierata e mentre il cameraman preparava il set per le riprese è stata lei a parlare: avevo già notato che il suo sguardo era subito caduto su una spilla che portavo.
“Bella, la sua broche (oddìo: ma da quanto non sentivo questa parola?): chi l’ha fatta?”
Avrei potuto sparare qualche nome altisonante, o anche solo inventare che l’avevo comprata dal gioielliere sotto casa, ma non sono capace di atteggiarmi e così le dissi la verità.
“E’ una spilla di bigiotteria anni ’50 che ho comprato per due sterline in un negozio di bric-à-brac di Canterbury”.
(“Ecco, penserà che sono una pezzente”, mi dissi, e invece lei non si scompose).
“Bella, molto bella: complimenti”.
(“… E’ anche una donna molto cortese”, pensai).
Così ricambiai il complimento chiedendole dello straordinario pettorale in corallo di Sciacca e oro che indossava su uno dei suoi famosi caftani.
“E’ un ricordo molto caro: è fatto dei medaglioni che le famiglie siciliane regalavano alle balie quando finivano l’allattamento. Sono dell’800 e dei primi dei ‘900: li ha cercati e montati per me Renato”.
Guttuso, ovviamente.
Fu il suo sguardo, puntato diritto nel mio come a dire “Dai, attaccami: ora lo so che vorrai qualche pettegolezzo” ma smentito dalla voce, che si era leggermente abbassata pronunciando quel nome, a farmela apparire simpatica.
Le chiesi di Guttuso, naturalmente, ma con delicatezza, e lei parlò: di lui, del suo imbarazzo (sì, imbarazzo) nel vedersi nuda nei quadri sparsi nelle case e nei musei di mezzo mondo, tuttavia mitigato e superato dall’orgoglio di essere stata la Musa di un Genio; mi parlò del suo matrimonio, dei figli e soprattutto della figlia, morta dieci anni prima di fibrosi cistica; mi parlò dei salotti e della mondanità, anche di quella mescolata alla politica; mi parlò della sua storia di ragazza povera diventata modella, contessa, stilista; diventata, soprattutto, Marta Marzotto.
In chiusura, una frase: “Sono una persona libera, ho sempre fatto quello che ho voluto, ma ho sempre pagato il prezzo della mia libertà”.
Io le ho creduto allora e ancora le credo.
E se la sua vita sentimentale è stata turbolenta, se lei stessa ha viaggiato sul filo della frivolezza, del capriccio, dell’apparire, comunque la preferisco ai tanti che in pubblico dichiarano virtù e in privato coltivano vizi e rancori.
Non sto dispensando facili assoluzioni, né colloco sull’altare una donna che ha avuto certamente, come tutti, limiti e difetti: ma è che non sopporto gli ipocriti.
Invece lei, Marta da Legare, ipocrita non è stata. Non è una virtù da poco.
G.P.