Festivaletteratura di Mantova
A volte ritornano, e lo fanno più e più volte: per fortuna, aggiungo subito, perché la loro esistenza getta una luce positiva su quello che l’ingegno umano e l’amore per la cultura possono fare.
Nel caso specifico, mi riferisco al Festivaletteratura di Mantova, giunto quest’anno alla sua attesissima ventesima edizione, in scena dal 7 all’11 settembre 2016.
Ma lasciamo che sia – nientemeno che – Andrea Camilleri a raccontare la genesi di questa importante manifestazione:
“Sempre più mi vado facendo persuaso che di certi aspetti di noi italiani noi stessi italiani non ne sappiamo niente di niente […]. Ora mi ritrovo a Mantova dove, in una serata di luglio, alcuni mantovani fecero la bella pensata d’organizzare una specie di “festa” della letteratura, da tenersi ogni anno sul finire dell’estate”, ha scritto il grande vigatese (… oh, pardon, empedoclino)
E’ andata proprio così: otto cittadini mantovani (Laura Baccaglioni, Carla Bernini, Annarosa Buttarelli, Francesco Caprini, Marzia Corraini, Luca Nicolini, Paolo Polettini e Gianni Tonelli) uniti dall’amore per i libri e per Mantova, la loro città, nel 1997 si diedero da fare per creare un festival letterario che trasformasse tutta la città nello scenario di incontri con Autori italiani e stranieri, notissimi o emergenti, debuttanti o mai tradotti nel nostro Paese. Una manifestazione, volevano i promotori, che consentisse a lettori e scrittori di incontrarsi senza paludamenti, in modo quanto più possibile semplice e naturale, approfittando dell’occasione anche per conoscere luoghi di bellezza, storia e cultura altrimenti ignoti agli stessi residenti. All’estero già esistevano manifestazioni analoghe, ma nel 1997 per l’Italia si trattava di una assoluta novità.
Oggi, vent’anni dopo appunto (ogni riferimento letterario è puro divertimento!), a Mantova sono giustamente orgogliosi di avere offerto un modo nuovo per accostarsi alla materia, supportati da altri cittadini (migliaia e migliaia) che, in qualità di volontari, da sempre consentono che tutto proceda per il meglio e Festivaletteratura continui snocciolare, nei cinque giorni che gli sono riservati, appuntamenti importanti nella splendida città eletta “Capitale italiana della cultura 2016”.
Il Festival vero e proprio quest’anno sarà preceduto da un’anteprima, sabato 3 settembre, dedicata all’Autore americano Jonathan Safran Foer, mentre domenica 4 Mantova sarà animata dalle migliaia di volontari che nel corso di questi venti anni hanno consentito alla manifestazione di accogliere gli eventi, i loro protagonisti e il pubblico in maniera impeccabile: grande parata, quindi, con tanto di banda e coriandoli.
Data la loro quantità, non è mi possibile elencare gli ospiti e le location, gli incontri previsti e le modalità di partecipazione, per conoscere i quali vi rimando al sito del festival, costantemente aggiornato anche rispetto ad eventuali i cambiamenti dell’ultima ora:
www.festivaletteratura.it
Info anche presso la segreteria (tel. 0376.365357) attraverso il servizio sms informa e l’app di Festivaletteratura
e-mail: info@festivaletteratura.it
Del gruppo di illuminati mantovani che hanno dato vita al Festival faceva e fa ancora parte l’Editore Marzia Corraini.
Ecco l’intervista a Marzia Corraini, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.
Canzone consigliata: poiché il tema di quest’anno è “La scrittura radicata nella vita” e si dedica anche una particolare attenzione alla letteratura canadese, propongo un grande classico di un geniale canadese: “Harvest”, Neil Young.
Giancarla: Sono molto felice di ritrovare una persona che dobbiamo ringraziare per una bellissima manifestazione che ci consente anche di riscoprire un’autentica capitale dell’arte e della cultura: mi riferisco rispettivamente alla Signora Marzia Corraini e a Festivaletteratura di Mantova, edizione 2016. Vorrei chiederle di tracciare per noi una piccola storia del Festival, visto che lei fa parte di quel gruppo di cittadini che nel lontano, ma non lontanissimo, 1997 creò la manifestazione. Come è nata?
Marzia Corraini: E’ nata vent’anni fa e sembra davvero ieri: noi non ci sentiamo questi anni sulle spalle – o forse fingiamo di non sentirli, non so! – però venti anni sono passati. Venti anni fa, per una ricerca che venne fatta a Mantova, furono messe insieme persone che in città si occupavano di cultura: la ricerca serviva a capire come si potessero coniugare arte, cultura ed economia. Oggi questo è un tema estremamente dibattuto, ma allora erano le prime volte che si ragionava di questi argomenti, soprattutto in una piccola città, e quella ricerca ha avuto il merito di avvicinare fra loro persone che alla fine si sono dette che, a quel punto, acquisiti gli elementi, volevano fare qualcosa per la loro città. Abbiamo pensato al Festivaletteratura perché avevamo visto altre manifestazioni, soprattutto nel mondo anglosassone (e in particolare quella di Hay-on-Wye) che potevano essere prese a esempio (… non “copiate”!) e ripensate all’interno di una città storica come Mantova. In quel momento, per ragioni professionali, ciascuno di noi otto organizzatori vedeva o frequentava situazioni che facevano capire che c’era la possibilità di andare in quella direzione: personalmente, essendo Editore frequentavo tutte le Fiere internazionali, come quelle di Chicago o Francoforte, e anche in quelle cominciava a crescere l’interesse per gli incontri con gli Autori, per riuscire a conoscerli non solo attraverso la loro scrittura, ma ragionando insieme. In quel momento c’era poca fiducia, forse, nel fatto che tante persone avessero voglia di cultura: credo che noi abbiamo interpretato bene l’esigenza, che invece era di tanti oltre che nostra, di non abbandonarsi solo alla televisione (che in quegli anni era di un certo tipo) e di superare il distacco fra la Cultura e la gente. Ecco perché abbiamo immaginato una manifestazione che ha uno dei suoi punti forti nella storicità di Mantova e che, semplicemente usando Mantova come quinta, non ponesse alcun filtro fra Autore e pubblico: per allora, questa era una novità. Ripensandoci oggi, dopo vent’anni, a parte l’avere interpretato una esigenza reale e comune, ci rendiamo conto di avere dato inizio a un modo diverso di affrontare l’organizzazione di eventi culturali e che abbiamo ragionato sul come usare la città: tutti temi che oggi sono estremamente forti in moltissimi campi. Noi abbiamo coinvolto più di centocinquanta luoghi della nostra città, che non è grande eppure non tutti, anche fra i Mantovani, conoscevano, e così facendo abbiamo dimostrato che c’era la possibilità di usare luoghi diversi: interni, esterni, palazzi storici… Credo che molte modalità, come quella della assoluta semplicità del contatto fra Autore e pubblico, come pure l’utilizzo del volontariato per iniziative culturali, siano elementi realizzati grazie al Festival: noi siamo assolutamente felici vedendoli moltiplicati, perché il nostro successo ha dimostrato che … “si può fare” e questo è importante. I moltissimi volontari che si sono prestati al Festival hanno portato anche altrove questo tipo di esperienza, e così pure gli Autori: si è così formata una rete straordinaria, della quale anche noi beneficiamo.
G.: Lei ha fatto giusto cenno all’apporto dei volontari, che in vent’anni sono stati migliaia: ma chi sono?
M.C.: I volontari vengono soprattutto dall’Italia, ma anche dal resto d’Europa e talvolta anche da altri continenti; moltissimi sono mantovani, in gran parte giovani, ma ce ne sono di varie età e professionalità, e molte sono le donne. Si mettono tutti a disposizione del Festival e spesso gli aspiranti sono molti di più di quanti non ne possiamo gestire: anche quest’anno abbiamo dovuto dire dei “no”, e la cosa ci dispiace molto, ma dobbiamo farlo anche perché ognuno di loro deve tornare da Mantova sapendo di avere contribuito davvero a costruire il Festival. E poi devo dire che, soprattutto a livello mantovano, generazioni di giovani crescono col Festival e prevedono di parteciparvi come volontari: spesso arrivano dei ragazzini (si diventa nostri volontari dopo i sedici anni) che chiedono che cosa possono fare per aiutarci. Naturalmente noi selezioniamo i volontari anche in base alle loro competenze, perché il Festival è fatto tutto da loro, ma c’è un cambio generazionale quasi automatico, non scelto da noi: i vecchi volontari formano i nuovi lavorando con loro, e poi questi ultimi li sostituiscono. E’ incredibile come siano diventati bravi: fatichiamo ancora, ma molto meno di una volta, perché sono veramente in grado di fare da soli.
G.: Insomma, oramai Festivaletteratura fa parte del tessuto della vostra meravigliosa città. La domanda, lo so, è banale, ma al tempo stesso necessaria: dopo vent’anni, la vostra filosofia, il pensiero che vi guida, è cambiato?
M.C.: Assolutamente sì: se noi, proprio per capire noi stessi, guardiamo come erano i primi Festival e li confrontiamo a che cosa è Festivaletteratura adesso, vediamo un mondo diverso. Uno degli elementi che forse si notano poco da fuori, ma noi ne siamo soddisfatti, è che siamo riusciti, senza stravolgere nulla, a cambiare continuamente il Festival. Nelle prime edizioni, la novità era avere tolto ogni formalità negli incontri del pubblico con gli Autori: oggi esistono centinaia di manifestazioni che usano questo sistema, gli Autori possono andare ovunque, ci sono manifestazioni molto belle in molte città, si organizzano manifestazioni musicali e letterarie in posti incredibili, e a noi questo va bene, perché abbiamo lavorato per diffondere la cultura, mica per altro. Se si guardano i programmi del Festival, si vede che noi abbiamo dato una accelerazione dal punto di vista della organizzazione, della produzione; abbiamo trattato in maniera diversa vari argomenti e avviato la collaborazione con le biblioteche, con cui individuiamo dei focus particolari. Quest’anno, per esempio, c’è la “Biblioteca della Moda”, che si occupa di scrittori che hanno scritto di moda o alla moda sono collegati, come Gabriele D’Annunzio; noi cerchiamo i libri, li mettiamo a disposizione, vengono scansionati e possono essere rivisti dal pubblico; creiamo luoghi dove la gente va per capire l’argomento trattato… Così è stato per il Gotico, per la Fantascienza e per tanti altri argomenti. Abbiamo creato Blurandevù, in cui i giovani volontari si preparano a condurre incontri attraverso il contatto con conduttori veri : altri Festival hanno preso questa piccola idea, e anche e questo ci va benissimo. Per il secondo anno proponiamo Prototipi, per cercare di capire che cosa sarà il libro del domani: quest’anno sarà coordinato da Riccardo Blumer, un architetto … sognatore, che lavora con esperti di intelligenza artificiale per capire dove va il racconto, ma anche dove mettere il racconto…Non so che cosa ne verrà fuori, non so che cosa succederà, ma si tratta di un laboratorio davvero interessante. Quest’anno c’è una zona dedicata ai videogiochi perché nel videogioco oramai si concentra una nuova narrativa e anche una nuova costruzione di abitudini sociali: basti pensare, per esempio, alla “caccia ai Pokemon”, in cui il reale e il virtuale si sono fusi attraverso un piccolo gioco, un fenomeno da studiare e porterà a costruire racconti davvero nuovi. Così il Festival non è più solo quello che mette il grande scrittore di fronte al pubblico in maniera molto naturale, ma è anche una manifestazione che ragiona sul contemporaneo, e questo per noi è molto importante: infatti, ci siamo sempre mossi e sempre più ci muoviamo per conoscere le altre letterature; per questo abbiamo una percentuale sempre più alta di Autori non necessariamente molto conosciuti (anzi, a volte nemmeno tradotti), perché abbiamo ricevuto una grande fiducia, che ci investe anche di una grande responsabilità, cioè fare conoscere quello che non è conosciuto.
G.: Ora le farò una domanda che spero non appaia impertinente, ma, data la sua esperienza professionale come editore e come organizzatrice di Festivaletteratura, desidero chiederle di condividere un pensiero sulla querelle nata fra gli Editori e il Salone del Libro di Torino, in cui gli Editori reclamano un ruolo maggiore nell’organizzazione.
M.C.: Essere presenti come attori è assolutamente possibile, ma non basta essere Editori: bisogna poi saperlo fare. Non so se mi sono spiegata…
G.: Sì, molto chiaramente. Quando finisce il Festival, qual è il suo stato d’animo? Sollievo? Entusiasmo? Oppure è già proiettata alla successiva edizione?
M.C.: Orami da vent’anni sappiamo che il Festival c’è e quindi quando ne finisce uno stai già facendo l’altro, perché spesso durante il Festival intessiamo rapporti e stabiliamo contatti per la successiva edizione. Insomma, il Festival non è solo quei giorni lì. Sicuramente un po’ di sollievo dopo i cinque giorni si prova, perché si vive a un livello diverso: sono cinque giorni straordinari in un mondo che sembra impossibile che esista e invece c’è, perché c’è un grande entusiasmo, ci sono tante persone che partecipano, c’è un pubblico straordinario. La cosa che dopo vent’anni mi sento di dire è che una grande quantità di gente ha voglia di conoscere, di avvicinarsi alla cultura insieme agli altri: così questi giorni sono di stimolo, oltre che di stress pazzesco. Quindi, alla fine di un Festival si pensa al poi, ma si ragiona anche su quello che è stato fatto.