“La fabbrica delle stelle”: chiacchierata con Gaetano Savatteri

 

savatteri-foto“La fabbrica delle stelle”, Gaetano Savatteri

Sellerio editore Palermo , 2016

Pagg 304

3ª edizione

€14,00

                                        E-book  € 9,99

 

 

Ho conosciuto Gaetano Savatteri lo scorso anno, a Milano, durante Bookcity: … cioè, lo conoscevo già, naturalmente, visto che da molti anni il suo è un volto ben noto dell’informazione televisiva italiana. Diciamo che lui ha conosciuto me (il che, ovviamente, non è per nulla una notizia): giusto per raccontarvi, ci siamo bevuti un caffè Marco Malvaldi, Carmine Abate, lui e la sottoscritta, dissertando (noi due ultimi) di “allallàti” (e chi deve capire, capisca: sennò, cerchi sulla mia pagina facebook un vecchio post). Insomma, non è che abbiamo disquisito dei massimi sistemi, per quanto, sia pure con leggerezza, si ragionasse di una vera e propria filosofia di vita: per me è stato divertente, molto divertente. Ho pensato: “Simpatico, Savatteri, con le sue battute fulminanti, il disincanto tutto meridionale e l’occhio acutissimo di chi è abituato a non perdersi nemmeno un dettaglio di quanto gli accade intorno”. Del resto, così si dovrebbe genericamente dire di un giornalista “vero”. E infatti quando, ovviamente sicura che non ricordasse il nostro incontro, gli ho chiesto se avesse voglia di chiacchierare con me del suo più recente libro (“La fabbrica delle stelle”, Sellerio editore Palermo) mi ha steso con un deciso “Mi ricordo benissimo”, circostanziandolo.

Appunto.

Dunque, Savatteri è “giornalista vero”, fatto tanto acclarato e risaputo che, di nuovo, la notizia non c’è.

E il Savatteri scrittore come sarà? Esattamente come il giornalista, e cioè attento, circostanziato, colto e dalla battuta fulminante. Nemmeno questa, però, è una novità, perché di libri Savatteri ne ha pubblicati molti, mantenendosi in bilico fra narrativa e saggistica: la notizia, semmai, è che il suo protagonista seriale, il giornalista siciliano disoccupato Saverio Lamanna, fino ad oggi apparso solo nelle raccolte di racconti gialli che la Sellerio pubblica periodicamente, finalmente ha un romanzo tutto suo. Lamanna, investigatore assai sui generis, dovrà anche qui sbrogliare una matassa… gialla, ma vi avverto che l’indagine comincerà alcuni capitoli dopo il primo, con tutta calma. In effetti, la sensazione è che l’Autore usi il genere solo per raccontarci un’ infinità di altre cose, come se lo scrittore Savatteri debba comunque lasciare grande spazio al giornalista: ma aggiungo anche che il libro è così ben orchestrato che di questo “ritardo” vi accorgerete solo quando, inevitabilmente, ci sarà una morte violenta tutta da spiegare.

La trama. Saverio Lamanna, giornalista siciliano di seconda linea, è a un punto cruciale della sua vita; malamente licenziato dal sottosegretario di cui era il portavoce, torna nella villetta di famiglia sul mare di Màkari, in provincia di Trapani, sperando di trovare l’ispirazione per un romanzo giallo dopo che il primo, scritto più che altro per inventarsi un mestiere alternativo e soprattutto sbarcare il lunario, ha avuto un buon successo: ma invece dell’ispirazione trova Peppe Piccionello, personaggio colorito e peculiare che, per una serie di avvenimenti imprevisti, diventerà suo compagno in una avventura che porterà entrambi nella Venezia della Mostra del Cinema, fra personaggi veri e verosimili, in costante e perfetto equilibrio fra reale e surreale.

Il libro è divertentissimo: i dialoghi sono impeccabili e spesso esilaranti, lo stile è rapido, la descrizione dei personaggi (protagonisti e comprimari, fino alla meno importante delle comparse) fotografica.

Insomma, è un libro che ho letto sorridendo dalla prima all’ultima riga: e lo dico con grande rispetto. Anche per questo ve lo sto consigliando: se mi seguite con una certa regolarità saprete bene, del resto, che l’intelligenza (e il ridendo castigat mores ne è una tangibile dimostrazione) è una virtù che mi affascina completamente.

L’Autore: Nato nel 1964 a Milano da genitori originari di Racalmuto (Ag), a dodici anni torna con la famiglia in Sicilia. Nel 1980, con altri ragazzi apre il periodico Malgrado Tutto, che pubblicherà alcuni articoli di Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Bonaviri e Matteo Collura. Dopo la maturità classica, Savatteri comincia a lavorare al Giornale di Sicilia, per poi trasferirsi a Roma come inviato de L’Indipendente e, in seguito, come giornalista del Tg5. Ha pubblicato, fra gli altri, La sfida di Orlando, Voci del verbo mafiare. Aforismi di Cosa Nostra, Premiata ditta servizi segreti (con Paola Bolaffio), Ladri di vita. Storie di strozzini e disperati, (con Tano Grasso), L’attentatuni. Storia di sbirri e di mafiosi, (con Giovanni Bianconi). La congiura dei loquaci, La ferita di Vishinskij, Pirandello detective? così è (se vi pare), I siciliani, La volata di Calò,  I ragazzi di Regalpetra, e vari racconti per le antologie Sellerio “Vacanze in giallo“, “La crisi in giallo”, “Turisti in giallo“, “Il calcio in giallo” e, sempre per Sellerio, il suo nuovo romanzo ”La fabbrica delle stelle”.

Ecco l’intervista a Gaetano Savatteri il cui sonoro, che trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina, contiene anche la lettura dell’Autore di alcuni passi del suo romanzo.

Canzone consigliata: “Babbaluci”, Roy Paci.

 

Giancarla: Chi è il collega Lamanna?

Gaetano Savatteri: Lamanna è un giornalista siciliano quarantenne, che da molto tempo ha mollato il giornalismo “militante” per  fare comunicazione politica, cioè il portavoce di un sottosegretario: ma quel lavoro va male perché, avendo scritto un comunicato dove a questo sottosegretario fa dire qualcosa di intelligente, viene licenziato e così si rifugia in Sicilia. Tornare nell’isola, che ha lasciato da più di vent’anni, per lui non è una scelta, ma un ripiego: lì potrà affrontare l’estate senza troppe spese (particolare importante, visto che è senza lavoro) e poi ritiene che non ci sia posto migliore della Sicilia per “fare i disoccupati”, visto che, purtroppo, di disoccupati là ce ne sono così tanti che ti guardano male se c’hai un lavoro, non se non ce l’hai!  Da quel momento, gliene capitano di tutti i colori e, soprattutto, incontra Beppe Piccionello, un autoctono del piccolo villaggio vicino a San Vito Lo Capo, Màkari, che ha badato alla casa dove Lamanna si rifugia: i due diventeranno una coppia inseparabile.

G.: Beh, in qualche modo anche tu e Lamanna siete diventati una “coppia di fatto”: quando hai incontrato per la prima volta il collega Lamanna e che impressione ne hai ricevuto?

G.S.: L’ho incontrato la prima volta due anni fa, nel 2014, quando Antonio Sellerio mi ha chiesto di scrivere un racconto per una delle antologie dedicate al giallo: così ho cominciato a conoscerlo, a seguirlo, mentre si definivano il suo mondo e le sue amicizie, il suo indispettirsi per i luoghi comuni e le frasi fatte. E’ uno “scottato” dalla modernità, ma che non può fare a meno di essere connesso a un computer, di aggiornarsi su quello che succede, e usa l’ironia per difendersi, perché Lamanna è ironico, a volte sarcastico: non è un cinico, ma è sicuramente disilluso e, con le parole, gli succede anche di fare del male alle persone che gli stanno vicine.

G.: Adesso Lamanna ha un romanzo tutto suo: è stato un regalo che hai voluto fargli o è stato lui stesso che, a un certo punto, ti ha detto: “Gaetano, mi serve più spazio”?

G.S.: …Ah, ma tu mi fai un po’ “Pirandello”! I personaggi solo a Pirandello parlavano: a me un po’ meno…! No, è che nel corso di quattro racconti Lamanna si è costruito una sua serialità, un suo mondo: poi, un po’ perché i lettori lo avevano scoperto nelle antologie, un po’ perché, come dicevo, il suo mondo si andava sempre meglio definendo, con Antonio Sellerio ci siamo detti che forse era arrivato il momento di dargli un romanzo tutto suo … Anche perché, nel frattempo, Saverio Lamanna aveva scritto un romanzetto giallo e così ho ingaggiato con lui una piccola sfida per vedere se fosse migliore il suo o il mio…!

G.: Va bene il giallo, ma tu sei un giornalista, e lo si capisce dalla minuzia con cui descrivi l’ambientazione, lo scenario, i personaggi. Come chi ti ha già letto saprà e come scopriranno i tuoi futuri lettori, nel romanzo mescoli in maniera divertentissima personaggi di fantasia con persone vere, che siano registi, giornalisti o attori famosissimi: con questo libro, qualche sassolino dalla scarpa te lo sarai tolto, no?

G.S.: Diciamo che mi piaceva l’idea di giocare tra finzione e realtà: non a caso ho portato Saverio Lamanna nel mondo del cinema e della televisione, ossia nel regno della finzione, anche facendogli incontrare persone reali, non solo personaggi (quindi giornalisti, attori, registi che frequentano la Mostra del Cinema di Venezia, dove è ambientata gran parte della storia). Volevo che non si sappia mai quanto Lamanna esista o no: per esempio, se Lamanna incontra Peppuccio Tornatore – e noi sappiamo che Tornatore esiste – forse esiste anche Lamanna… Naturalmente, mi sono anche tolto qualche sassolino, più che altro perché volevo sottolineare che tutti noi che lavoriamo nel cinema, in televisione, nel giornalismo, stiamo su di un palcoscenico e quindi abbiamo a che fare con una quota di finzione anche nella realtà che raccontiamo. I registi e gli attori raccontano legittimamente la finzione ma, per esempio, in televisione può capitare che un giornalista debba montare un servizio su un arresto senza avere immagini di quel fatto e quindi usi quelle di repertorio: questo non significa che la notizia in sé non sia vera.  Si tratta della quota di finzione che c’è nella nostra realtà: noi giornalisti spesso usiamo la finzione per raccontare la realtà e accettiamo questo grado di convenzione.

G.: Devo farti una domanda, ma prima vorrei sapere in quanti te la abbiano già fatta e se ti piaccia o no: quanti ti hanno chiesto se Lamanna sia il tuo alter ego?

G.S.: Ti rispondo come risponde Antonio Sellerio, che mi ha detto: “Gaetano, tutti penseranno che il tuo alter ego sia Lamanna, ma il tuo vero alter ego è Piccionello!”

G.: …Che è un personaggio straordinario! I suoi incontri sono surreali e lui stesso fa cose surreali, come quando canta con Daniel Ratcliff, alias Harry Potter, la filastrocca siciliana dei “babbaluci che ammuttano balati”: secondo me, è questa “la morale della fiaba”, che dici?

G.S.: Sì. Bisogna spiegare che Piccionello è, volendo usare parole auliche, un pre-moderno: è cresciuto a Màkari, anche se racconta tante favole sul suo passato avventuroso per mare; ha un suo senso pratico della vita che è distante dal mondo del giornalismo in cui vive Lamanna, in cui ci si consce un po’ tutti. In genere vive appartato, gira sempre in infradito e calzoncini corti, estate e inverno: anzi, si presenta così vestito persino alla Mostra del Cinema di Venezia, sostenendo – a ragione – che il Lido di Venezia è un posto di mare e quindi si può stare con le infradito anche sul tappeto rosso. Piccionello viene scoperto da questo mondo “finto”, che ne riconosce l’autenticità, e viene visto come uno che “fa tendenza”, tanto che le infradito saranno indossate da tutti perché diventano la moda del momento. Però Piccionello, anche se finisce su Istagram, Twitter, Facebook, mantiene il suo spirito distaccato, non si fa affascinare da quel mondo che vorrebbe trascinarlo con sé: il momento in cui con Ratcliff canta la filastrocca siciliana dei “babbaluci” forse, come dici tu, è il punto in cui i due mondi, quello autentico della provincia e quello sfavillante della Mostra del Cinema, si incontrano grazie a una strofetta banale, che però fa cantare tutti.

G.: Esilarante anche il passaggio in cui Piccionello incontra Kevin Costner e dice che somiglia a un tale di Castelvetrano di sua conoscenza…: mi ha fatto venire in mente Agatha Christie e la sua Miss Marple, che risolve enigmi ripensando ad alcuni compaesani di St. Mary Mead. Ti piace l’accostamento?

G.S.: Mi piace ed è vero, perché secondo Piccionello è Kevin Costner a somigliare al tizio di Castelvetrano: noi diremmo il contrario, ma per lui è più reale e tangibile il tale di Castelvetrano che Kevin Costner, che probabilmente non ha mai visto nemmeno al cinema.

G.: Devo ringraziarti, perché con le tue pagine mi hai fatto passare momenti piacevolissimi: i dialoghi sono meravigliosi e … si ride (e sia chiaro che lo dico nel senso più nobile del termine)!

G.S.: …Perché l’idea era quella di fare una commedia gialla: diciamo che la coppia classica di investigatori, Sherlock Holmes e Watson, qui è fatta da Ficarra e Picone!

G.: Il libro è pirotecnico e i dialoghi sembrano quasi una sceneggiatura: ti sei divertito a fare lo sceneggiatore, oppure ….

G.S.: No, mi sono divertito. Ho pensato che molte delle nostre conversazioni, spesso importanti per la nostra vita, oggi avvengono su WhatsApp mentre facciamo un’altra cosa, come lavorare, andare dal dentista o a fare la spesa: sono conversazioni un po’ nevrasteniche, brevi e senza sfumature, perché, appunto, siamo impegnati a fare altro, e magari sul più bello si interrompono perché non c’è più campo. L’idea era anche quella di ripassare in un libro questo nostro modo compulsivo e nevrotico di comunicare, che oggi è diventato dominante.

G.: Mi accorgo che abbiamo ragionato poco del fatto che si tratta di un “giallo”: …forse perché il genere è solo un pretesto per parlare d’altro?

G.S.: Quello del giallo è un genere che induce chi scrive a stare dentro ad una griglia, mentre chi legge sa che c’è un morto e che si arriverà ad una soluzione più o meno complessa: in questo caso non si tratta certamente di un plot giallo complicato, anzi molti lettori mi hanno detto di avere capito la soluzione e io ne sono stato molto contento, perché ho dei lettori più intelligenti di me! … No, io non riesco a costruire trame complicate. Non voglio dire che oggi il giallo sia l’unica forma di romanzo sociale, ma certamente  è un genere che consente di raccontare un paesaggio umano, un panorama sociale, un modo di essere e di fare. Nel romanzo c’è anche il giallo, ma è un giallo che spero faccia ridere; ci sono giallisti molto bravi che incatenano alla pagina, ma io vorrei tenere i lettori incatenati per il gusto di scoprire che cosa succede ai protagonisti e anche, perché no?, per scoprire come finisce il giallo.

G.: … Ma questi due, Lamanna e Piccionello, li ritroviamo, vero?

G.S.: …Eh sì, dovremmo ritrovarli: sto cominciando a scrivere una nuova avventura che dovrebbe svolgersi in gran parte in Sicilia con qualche puntata fuori dall’isola. Ho pensato a Lamanna come un siciliano, sia pure siciliano con un certo distacco, che si possa muovere e prendere senza problemi un aereo: un siciliano da viaggio low cost. Un siciliano “di mare aperto” e non “di scoglio”, insomma.

 

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