30 ° Salone Internazionale del libro di Torino 2017
Il mio decimo anno al “Salone Internazionale del Libro” è stato salutato da una magnifica giornata di sole e Torino, regale e splendida, ha indossato una luminosa corona di montagne e una luce abbagliante: una accoglienza che mi ha almeno in parte consolato dalla amarezza di poter dedicare alla grande manifestazione solo poche ore e, mio malgrado, di non poterlo fare come in passato ero riuscita a fare. Del resto, non sempre nella vita si può fare ciò che si desidera o che sarebbe giusto accadesse…
Ma niente malinconie e mettiamoci subito al lavoro: questa è una edizione speciale anche perché, a parte tutto, si tratta del trentesimo compleanno del “Salone del libro”.
Supero con grande velocità i controlli all’entrata e non trovo la solita coda allo sportello di convalida dei pre-accrediti: la cosa non è mai avvenuta e un po’ mi preoccupa benché, fuori, il “popolo dei lettori” prema e la coda (anzi “le” code) siano lunghe anche se sono solo le dieci del mattino. “Sei stata fortunata – mi dirà di lì a poco una collega- In questi giorni le code agli accrediti erano infinite, c’era moltissima stampa”.
A rallentarle, certamente, anche i rigorosi controlli di sicurezza: metal detector e persino la richiesta di depositare all’ingresso profumi e deodoranti. Lamentele? Non ne ho sentite, ma già negli anni scorsi, quando la paura di attentati si è fatta più concreta, certe misure erano state adottate e tranquillamente accettate come inevitabili o, addirittura, auspicabili per la sicurezza e la serenità di tutti.
Veloce passaggio all’ufficio stampa – sempre cortese – e quindi giù, tuffata fra la folla.
Eh sì: perché appena aperti i cancelli, la gente – moltissima- si è riversata per i padiglioni e gli stand. Insomma: se temevo (sì, un pochino lo temevo) che lo scisma di Milano sottraesse energie a Torino, in un attimo mi sono rincuorata.
Intendiamoci: le informazioni che mi arrivavano da Torino sin dal primo giorno hanno parlato di successi e forte presenza di pubblico ma, cosa volete, le cose mi piace verificarle di persona…
E finalmente il Salone è lì: sontuoso, vitale, carismatico. Come sempre.
Mi dispiace non vedere gli imponenti stand dei “grandi” editori. “Beh, c’è più spazio per girare: e poi gli stand, anche i più piccoli, sono molto più visibili”, è il commento di molti (visitatori e addetti ai lavori).
Ho in programma alcune interviste: potrei farle anche per telefono, ma quello che mi piace di più del mio lavoro è guardare le persone negli occhi, cercare capire dalla loro stretta di mano quale sia la loro disponibilità, stabilire un contatto diretto e salutarsi contenti di aver percorso un pezzettino di vita insieme. Ma a Torino fare le interviste è anche una specie di sport estremo: infatti, per quanto sia necessario organizzare una agenda, i ritmi e i tempi al Lingotto sono tali per cui riuscire a rispettare la tabella di marcia è pressocché impossibile: per questo, permettetemi, come era avvenuto per Milano, voglio subito e nuovamente ringraziare gli Uffici Stampa, gli Editori e i singoli Autori; senza la loro competenza e disponibilità, anche umana, non potrei fare il mio lavoro.
Bravi, bravi, bravi.
Fra un appuntamento e l’altro, giro per gli stand e aguzzo occhi e orecchi: voglio sapere che cosa pensa, dice e fa la gente. Così mi accorgo che intorno a me ci sono solo volti sorridenti e soddisfatti: le solite code per assistere agli incontri (lunghissime e impegnative, anche fisicamente) mi dicono che, alla fine, nulla è cambiato: i grandi Autori sono presenti, i best sellers pure, le sale sono gremite. Per esempio, per ascoltare Saviano la gente si è messa ordinatamente e pazientemente in coda quasi tre ore (TRE ORE!!!) prima che iniziasse la conferenza e lo stesso, mi hanno riferito, è successo con altri ospiti.
Finito il giro di interviste, la sottoscritta, per una volta, si è fatta un regalo: assistere da lettrice, non da giornalista, all’affollatissimo incontro organizzato da Sellerio, che per presentare la nuova raccolta di racconti “Viaggiare in giallo” ha schierato la sua guardia reale: Alicia Giménez Bartlett, Marco Malvaldi, Antonio Manzini, Francesco Recami, Alessandro Robecchi, Gaetano Savatteri, ovvero la créme della sua narrativa “gialla” (senza scordare Camilleri, che non trovavasi in loco di persona personalmente, ma lo stesso era presentissimo nei pensieri di tutti).
Mi sono messa in coda – anche se per la stampa era previsto un ingresso dedicato – e mi sono …mimetizzata, per sentire la vox populi, capire da dove questa gente venisse e perché fosse al Salone, che cosa pensasse dello strappo dei mesi scorsi, e così via.
Vi riassumo: molti dei presenti erano stati anche a “Tempo di libri” di Milano e non ne avevano riportato un bel ricordo. Bocciati gli spazi (troppo grandi, troppo vuoti, troppo lontani dalla città), bocciatissimo il periodo, mi è però sembrato che sia stata soprattutto la decisione di “fare da sé” dei Grandi Editori a indispettire i lettori, cui è anche dispiaciuto il modo, giudicato troppo assertivo e anche un filino arrogante, con cui la rottura è stata consumata.
Un signore, torinese di Torino, mi dice: “La città ha reagito: siamo qui anche per dimostrare che il Salone è vivo e non è certamente una manifestazione di serie B. Se i Milanesi ci volevano intimidire mostrando i muscoli, oltretutto in un momento delicato per il Salone (le inchieste, ancora in corso: n.d.r.), non ci sono riusciti, come vede”. “Ma oggi c’è anche la partita della Juventus, che si gioca lo scudetto”, ho aggiunto un po’ provocatoriamente. “Io sono del Toro”, è stata la laconica riposta. Appunto.
Sulla questione dell’orgoglio cittadino, però, io ho qualche riserva: ci sarà stato certamente in qualcuno, magari in molti, uno scatto di orgoglio sabaudo, ma credo riguardi solo una minoranza. Non è solo la mia personale idiosincrasia per i campanilismi a farmelo pensare, ma anche il fatto che moltissimi visitatori sono arrivati da fuori regione. In coda era tutta una fantastica babele di accenti e dialetti: ho chiacchierato con gente di Milano, Pisa, Roma, Genova, Bergamo, Vicenza, Verona; a Torino e dintorni vivono moltissimi siciliani, campani, sardi, e così via, cui ben poco interessa delle eventuali dispute fra lombardi e piemontesi. Del resto, il tema molto opportunamente scelto quest’anno era “Oltre il confine”.
E poi il Salone è una manifestazione così autorevole e seria, così importante per la cultura dell’Italia tutta, che non può essere ridotto a una specie di derby calcistico fra due capitali: anzi, piantiamola con queste affermazioni, persino un po’ volgari.
Dove c’è divisione non c’è cultura, ma solo ottusità: mettiamocelo in testa.
La verità è che – senza nulla togliere al grande lavoro fatto a Milano da Chiara Valerio – si devono fare molti complimenti al nuovo direttore, Nicola Lagioia, che ha saputo garantire alla manifestazione un livello altissimo, lo stesso al quale ci aveva abituato Ernesto Ferrero (al quale, a mio avviso, il Salone deve e dovrà davvero tanto). Anche per questo gli eventi, pure quelli che a uno sguardo superficiale si sarebbero detti a torto “minori”, hanno registrato pubblico e riscosso interesse, e anche per questo – insieme ai calmierati prezzi degli stand – gli espositori hanno parlato di vendite soddisfacenti.
Perché anche questo va detto: ho visto moltissima gente acquistare libri di ogni genere. Ogni stand ne ha venduti, a prescindere dalla notorietà dell’Editore. Ora: chi compra un libro, concorderete, non lo fa per indispettire qualcuno o per affermare chissà quale sciovinistico principio; chi legge fa solo del bene a se stesso e alla società in cui vive (e quindi a tutti noi).
Proprio per questo spero che entrambe le manifestazioni, il “Salone Internazionale del Libro” di Torino e “Tempo di libri” di Milano continuino e sempre in crescendo: anzi, forse un po’ di sana competizione gioverà a loro come ai lettori.
Fra i due litiganti, il terzo – cioè i libri, i lettori, la cultura – gode. Spero.