“Le parole di Sara”, “Vuoto per i Bastardi”, “Addio a Ricciardi”: chiacchierata con Maurizio De Giovanni.

Con Maurizio De Giovanni
(arch. personale)

Come ho già infinite volte ripetuto, leggere i libri di Maurizio De Giovanni è per me (come per migliaia di altri lettori) un piacere grandissimo: la sua sensibilità di scrittore si sposa perfettamente con la qualità dell’Uomo, e i suoi personaggi, le storie, le atmosfere che mette nelle sue pagine ne sono la tangibile dimostrazione.

In questo momento, De Giovanni è in libreria con due nuovi romanzi: il secondo capitolo della nuova serie che ha per protagonista l’enigmatica e tagliente Sara Morozzi, ovvero “Le parole di Sara” (Rizzoli) e “Vuoto per i Bastardi di Pizzofalcone” (Einaudi Stile Libero). Imminente la pubblicazione, prevista per il prossimo 25 giugno, dell’ultimo romanzo con Luigi Alfredo Ricciardi: ne “Il pianto dell’alba” (Einaudi Stile Libero), l’amatissimo commissario dai profondi occhi verdi che vedono i morti si congederà definitivamente dai lettori (che proprio non riescono a darsi pace per questo addio).

Di questi volumi ho parlato con Maurizio De Giovanni.

Ecco l’intervista, il cui sonoro potete trovare in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “Appucundrìa”, Pino Daniele

Giancarla: Caro Maurizio, durante questo incontro dovremo parlare di tre romanzi: il secondo capitolo della saga dedicata a Sara, il nuovo de “I Bastardi di Pizzofalcone” e dell’ultimo (… anche se quasi non riesco a pronunciare la parola “ultimo”) di quella di Ricciardi, che uscirà a breve. Se ti va, potremmo farne una specie di lettura comparata, cominciando da Sara: in questo secondo romanzo impariamo molte cose di questa donna che, come tu hai detto, hai “capito” nel giro di una sola notte; noi, ne “Le parole di Sara”, grazie ad un clamoroso colpo di scena finale, conosciamo un altro suo aspetto fondamentale: te lo ha raccontato lei, o è stato il contrario?

Maurizio De Giovanni: Sai, in realtà i personaggi sono come dei vicini di casa: quando si va ad abitare in un posto nuovo, in un condominio, istintivamente qualcuno ti è simpatico e qualcuno no; poi, conoscendo i nuovi vicini, frequentandoli quotidianamente, si cambia idea, ci si formano nuove opinioni. I personaggi sono così: io sono molto fortunato, perché ho modo di attraversare tre serie con grande affetto dei lettori (perché sono i lettori che decidono che una serie diventi tale: ogni autore volentieri continuerebbe a raccontare del suo personaggio), per cui il piacere di frequentare Sara mi ha portato anche a conoscerla meglio. Sara non è facile: è una donna che parla pochissimo e ha la fobia delle menzogne, da quelle piccole (tingersi i capelli, truccarsi, portare le scarpe col tacco) a quelle grandi, cioè le menzogne che attraversano la società e il tempo che stiamo vivendo. Io ho più volte detto con una metafora che Sara “alza il tombino” di una strada molto pulita e vede tutto quello che sotto questo tombino scorre, prendendo in esame la realtà sotto la superficie: secondo me, il vero “taglio” di Sara sta non solo nella paura della bugia, ma anche nella sua attitudine a scoprire la verità. La menzogna è un abbellimento: se non fosse migliore della verità, non ce ne sarebbe bisogno; si mente per migliorare la verità. Quindi, voler capire la verità significa quasi sempre scoprire qualcosa che è peggio di quello che sembra. Siccome già quello che ci circonda è abbastanza brutto, pensare che la verità sia ancora peggiore è un colpo al cuore: sia per chi scrive, sia per chi legge.

G.: Quella di Sara è una figura di “anti- eroe”: è una donna che sembrerebbe fredda, indifferente al dolore altrui pur di raggiungere il suo obiettivo. Sembra lontanissima dagli stereotipi femminili, ma invece io la trovo estremamente femminile, perché se è vero che le donne agiscono col cuore e per passione, questo è esattamente quello che succede con Sara, no?

M.D.G.: Mi piace molto questa tua lettura, che è vera. Sara è custode del miglior futuro possibile: come tale porta sulle spalle il passato e lotta nel presente. Sara non è una investigatrice, non è una poliziotta: Sara è una giustiziera; è una sorta di giudice istruttore; è giudice giudicante ed esecutore della sentenza, tutto nella stessa persona e per questo è un personaggio tutt’altro che facile da raccontare. E’ profondamente femminile, perché non è istintiva ma lotta, come le femmine di ogni specie fanno, per traghettare nel futuro la generazione attuale. Sara rimane coinvolta nel futuro quando nasce suo nipote e- senza essere stata mamma- diventa nonna; per questo trova il coraggio e la forza di occuparsi del futuro, altrimenti non lo avrebbe fatto.

G.: Lasciamo Sara al suo futuro, che conosceremo, e veniamo al presente dei “Bastardi” che, come scrivi all’inizio del romanzo, hanno ciascuno un vuoto da colmare: di nuovo, però, mi permetto di dissentire, perché secondo me più che di vuoto si tratta di tanto pieno, semmai da distribuire adeguatamente… Ma, sai, io leggo alla mia maniera…

M.D.G.: … No, bravissima, ancora una volta! Il vuoto in realtà è pieno: questa è la tragedia. Se il vuoto fosse davvero vuoto sarebbe un rifugio, un luogo tranquillo, perfettamente sereno; in realtà, quel vuoto è pieno di tutte le cose “rotte”: i programmi non andati a buon fine, le cose iniziate e mai finite, le fratture, le ferite… Nei “Bastardi”, il vuoto è quello lasciato da un passato che non si vuole ricordare, frequentare, che non si vuole incontrare di nuovo: quindi è perfettamente giusto dire che nel vuoto del passato incontrano anche la faccia brutta di se stessi. Questa è una costante, nella narrativa de “I Bastardi”: i “Bastardi” sono feriti, sono alterati, e le loro crepe compaiono ogni mattina davanti al giudice peggiore che possa esistere, cioè se stessi, noi stessi. Tutti, prima di uscire di casa, la mattina indossiamo un abito: è un abito fatto di ipocrisia, di piccole bugie, di “spalle girate”. Tutti noi abbiamo qualcosa di inconfessabile: a volte si tratta di qualcosa di terribile, ma altre di qualcosa che magari è lieve, ma che di noi non vorremmo far sapere a nessuno, nemmeno a chi ci sta vicino, qualcosa che ci portiamo dietro come una croce.

G.: In “Vuoto” ogni personaggio ha un suo preciso spazio, però mi ha colpito particolarmente una sorta di parallelismo fra la vittima, ovvero la professoressa da cui parte l’indagine, e Ottavia: ho trovato che le due donne si somiglino molto, in questa fase della vicenda dei “Bastardi”. Ottavia è materna e al tempo stesso molto efficiente sul lavoro e ha un figlio impegnativo, che ama profondamente; la professoressa non ha figli suoi, ma è come li avesse e si tratta dei suoi allievi, che più sono impegnativi e più le piacciono. Attraverso loro, hai raccontato un aspetto molto dolce della femminilità.

M.D.G.: Ottavia mi è molto cara: è un personaggio che ha il dramma di non avere un atteggiamento sereno nei confronti del figlio, che le sopravviverà, ma rinchiuso nel suo mondo. La dannazione di una madre che non ha nemmeno la possibilità di sostenere il proprio figlio, di curarlo o, semplicemente, di portarlo verso un futuro migliore ma che, anzi, lo dovrà “abbandonare”, e abbandonandolo lo lascerà ad un destino atroce pesa tantissimo sulle spalle di Ottavia. Così è anche per la professoressa, Chiara, la “vittima” di “Vuoto”, perché è lei che si deve far carico dolorosamente della solitudine di ragazzi che cadono nelle grinfie di una organizzazione che ottiene dei ricavi dalla loro vendita. Un tempo si diceva che era “proletario” chi aveva come unica ricchezza la propria prole: nel nostro presente abbiamo stravolto pure questo concetto. Anche su questo ci dobbiamo interrogare.

G.: In passato mi hai detto di aver deciso di chiudere i “cicli” dei tuoi romanzi per evitare che finissero col diventare una sorta di biografia continuata dei personaggi; leggendo “Vuoto” ho capito perché: di loro ci dici tante cose e, immagino, il prossimo sarà il romanzo in cui spiccheranno il volo…

M.D.G.: In realtà, per quanto riguarda i “Bastardi” ritengo che invece potrebbero continuare, perché ho scoperto che possono essere cambiati: l’ingresso di Elsa, il nuovo personaggio, mi ha fatto capire molto a fronte della sostanziale “uscita” (che in realtà è solo un cambio di ruolo) di Pisanelli: I “Bastardi”, insomma, potrebbero cambiare nella loro composizione e continuare il loro racconto, anche in prospettiva di una serie televisiva che sta incontrando tanto amore da parte dei lettori.

G.: … Però arriviamo alla fine di un’altra serie, che ancora non è disponibile in libreria ma è già annunciata da tempo: quella di Ricciardi. A proposito di Ricciardi, a me risulta che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare (le lettrici generalmente sono più facili a esprimere le proprie emozioni), sono molti gli uomini che amano profondamente il personaggio e il suo mondo: risulta anche a te?

M.D.G.: Sì, mi consta l’affetto dei lettori. Ricciardi ha un “valore aggiunto”, una componente che non è mia: la nostalgia per un tempo passato. E’ un’epoca che ci è stata raccontata dai genitori e dai nonni e che in qualche modo ci sembra di conoscere, secondo una dolente nostalgia che deriva dalla differenza enorme rispetto a come è diventato il mondo …Ricciardi sarà…sarà un bellissimo ricordo: per me che l’ho scritto e per chi gli ha tanto voluto bene; penso che sarà bello averlo scritto, così come è stato bello scriverlo mentre lo scrivevo…

G.: … Un po’ ti invidiamo, perché Ricciardi finirà, sì, ma per noi lettori: lo leggeremo e rileggeremo, certo, ma è con te che Ricciardi resterà sempre, sarai tu a sapere comunque di lui…Anche perché… insomma, Maurizio: dici di te che sei un raccontatore di storie, storie misteriose, e io penso che voi raccontatori di storie misteriose siate un po’ come i prestigiatori e puntiate l’attenzione del pubblico su qualcosa di verosimile per mostrare, alla fine, il vero; quindi, quando la gente ti chiede quale sia il personaggio nel quale ti ritrovi maggiormente e tu rispondi “Maione”, beh, mi assumo la responsabilità di dirti che non ti credo, perché tutti noi invece conosciamo bene un signore che vede chi non c’è ( …per esempio, una zingarella…) e ha gli occhi verdi e quindi l’ultima domanda che voglio farti è: “Di che colore sono i tuoi occhi, Maurizio?”

M.D.G.: …I miei occhi sono casualmente verdi: comunque ti ringrazio per la bellissima constatazione! Ricciardi forse era in cerca di uno scrittore: lo scrittore è uno che guarda dalla finestra e racconta a chi sta in casa quello che vede fuori; è casuale essere capitato vicino alla finestra e io sono soltanto molto, molto fortunato.

G.: … E anche molto, molto, molto modesto.

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