Paola Baratto, “Malgrado il vento”,
Manni Editore – 2021
Pagg 80
€ 12,00
Attesa come sempre, è tornata ai suoi lettori Paola Baratto, raffinata cesellatrice di parole che ora ha trasferito nella raccolta di tredici racconti brevi “Malgrado il vento”, pubblicata da Manni Editore.
Osservare; scrutare, forse.
Ci vogliono tempo, pazienza e talento: poi si possono raccontare, con le giuste parole, i volti, le storie, le omissioni perfino.
Questo è il compito dello Scrittore: così, solo così, dai racconti della gente può nascere la Letteratura.
Non ha bisogno, lo Scrittore, di cercare lontano nello spazio e nel tempo gli spunti narrativi, i personaggi, i colori, i suoni e gli odori da buttare sulla pagina: li trova anche sotto casa, girato l’angolo, fra i giardini e i palazzi del suo quartiere.
I protagonisti minimi di storie minime diventano così Letteratura, restando però anche vita vera fatta di incontri e solitudini da colmare, di sogni realizzati e altri irrealizzabili, di innocue bizzarrie, di assenze brucianti e presenze consolatorie.
Diventano Letteratura, però, a patto che non sia la gente a narrare se stessa ma, appunto, che a farlo sia lo Scrittore.
E lo stesso vale per l’Artista in generale: solo l’Artista riconosce il bello là dove si nasconde; solo l’Artista trasforma ciò che si direbbe “brutto” in delicata poesia.
In questo pagine, insomma, c’è tutta Paola Baratto: il suo amore per la parola, per la ricerca di essa, per le cose quotidiane da raccontare con una esemplare – a volte, disarmante – semplicità, ricamando un merletto leggero e prezioso, dipingendo acquerelli trasparenti ma leggibilissimi.
La gente di un quartiere qualsiasi di una città qualsiasi tutto è tranne che qualsiasi, se la si osserva con gli occhi dello Scrittore: Paola Baratto, Scrittrice, osserva e scrive, scrive e ricama racconti; senza clamore, come suo costume, ma con infinito rispetto per ciò che la circonda e il desiderio di ringraziare chi, specie in questi tempi bui, ha reso sopportabile una quotidianità incerta.
L’Autore:
PAOLA BARATTO, scrittrice e giornalista, nasce a Brescia, in una famiglia con radici in più regioni d’Italia.
All’inizio degli anni Ottanta comincia a scrivere poesie.
I primi tentativi in prosa (racconti ed un paio di romanzi) restano nel cassetto. Il suo primo romanzo, “La cruna del Lago – Tír na n Og”, viene pubblicato da un piccolo ma serio editore bresciano, “Ermione”.
Dal 1995 Paola Baratto inizia una collaborazione con la pagina culturale del “Giornale di Brescia”, quotidiano per il quale ancora oggi scrive elzeviri.
Nel 1998 pubblica il romanzo “Finisterre” e nel 2000 il terzo romanzo, “Di carta e di luce (entrambi per Zanetti Editore).
Con Manni Editore ha pubblicato i romanzi “Solo pioggia e jazz” (2005), “Carne della mia carne” (2007), “Saluti dall’esilio” (2010) e “Lascio che l’ombra” (2019), e le raccolte di racconti “Giardini d’inverno” (2014) e “Tra nevi ingenue” (2016).
Nel maggio 2021, con Manni Editori pubblica “Malgrado il vento”, una serie di racconti che possono anche essere letti come un piccolo romanzo.
Ecco l’intervista a Paola Baratto, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.
Canzone consigliata: O Vento, Madredeus
Giancarla: Sei tornata, molto attesa dal tuo pubblico, e lo hai fatto con “Malgrado il vento”, che lascio a te definire.
Paola Baratto: E’ la mia terza raccolta di racconti. Questo è un po’ strano perché non ho mai amato i racconti, tanto che a differenza di molti ho esordito con un romanzo, ma poi ho verificato che è una forma letteraria che mi è congeniale. In realtà, più che veri e propri racconti le prime raccolte erano “prose poetiche”. Quelli di questo libro si differenziano perché sono vere e proprie storie ambientate in un quartiere di una città
qualsiasi e ogni racconto è incentrato su un abitante di questo quartiere: alla fine tutti ovviamente si incrociano, si incontrano. Alcuni sono amici, altri si ignorano, per cui ne esce un affresco: definirlo “romanzo” forse è esagerato, è … una storia unitaria.
G.: Sono molto felice di queste tue parole, perché ho cominciato a leggere pensando di avere per le mani una raccolta di tredici racconti, ma più andavo avanti e più trovavo che nelle tue pagine ci fosse una forte connessione anche narrativa. Nel libro c’è una reale circolarità, tanto che alla fine mi sono ritrovata nella convinzione di aver letto un “unicum”: non una serie di racconti, ma una vera concatenazione … tanto che ho pensato alla quadriglia. Quando si balla la quadriglia prima o poi si incontrano tutti gli altri ballerini: così nel tuo libro, prima o poi, ogni personaggio ne incontrerà qualcun altro.
P.B.: E’ vero, ed è anche una bella immagine, ti ringrazio: potrò usarla?
G.: Sicuramente e sono io a ringraziare te! Insomma, alla fine ho pensato che ti fossi adattata al genere del racconto… E così torniamo alla domanda che ti ho fatto tempo fa: la dimensione del racconto rispetto a quella del romanzo in che cosa ti piace e in che cosa, invece, ti lascia più dubbiosa?
P.B.: (Il racconto) Mi piace perché – a prescindere da questo libro, che ha una forma un po’ diversa – dal punto di vista della scrittura è una sorta di palestra. Soprattutto “Tra nevi ingenue” mi ha offerto la possibilità di concentrarmi sulla prosa. E’ stata un’esperienza un po’ insolita rispetto al mio modo consueto di rapportarmi alla pagina: scrivevo anche due racconti in un pomeriggio, io che di solito sono lentissima, faccio fatica a concentrarmi; invece, forse perché hanno un ritmo, mi prendeva l’ansia dello scrivere e scrivevo parlando, ripetendomi le frasi seguendo una sorta di musicalità, di ritmo. Mi era piaciuto molto e mi è servito, perché poi questa forma di monologo interiore è confluita con maggiore facilità rispetto al passato. Poi (i racconti) sono sicuramente più introspettivi, per quel che mi riguarda. Ho sempre scritto i romanzi in maniera distaccata: anche quando usavo la prima persona, i miei erano personaggi da cui ero distante, che non replicavano me stessa (anche se, naturalmente, si finisce sempre per influenzarli con qualcosa di sé). Sostanzialmente, osservavo. I racconti, invece, sgorgano in maniera più introspettiva, in essi c’è qualcosa di più personale, un punto di vista più mio, anche se in “Malgrado il vento” per i personaggi ho tratto spunto dall’osservazione del mio quartiere. Non sono dei “ritratti”, ma a volte qualcuno dicendo una frase mi ha indotto a immaginare lo sviluppo di un personaggio: erano delle “imbeccate” perché il personaggio si sviluppasse meglio e mi desse dei suggerimenti.
G.: In effetti, l’osservazione dell’Altro è alla base di questi racconti. Oltre a Tomas, che osserva le vite degli altri, anche i protagonisti si guardano fra di loro, anche se in modo diverso: ad esempio, mi ha molto colpito il racconto del vedovo che non sa che cosa facesse la moglie, mentre tutti gli altri, compreso il cane, lo sapevano benissimo. Fin dall’inizio ho pensato non solo al quartiere che viene raccontato come un microcosmo popolato da tante figure molto belle e particolari, ma anche che raccontare il quartiere è in fondo un modo per raccontare i social: alla fine, siamo tutti in una sorta di quartiere, anche noi, tu ed io, che in questo momento stiamo usando internet e abbiamo tu un sito (che invito tutti a visitare), io questo blog, e poi le pagine Facebook, eccetera. Siamo proiettati nell’osservazione degli Altri e nel racconto di noi stessi, ma più preoccupati di raccontare noi stessi che non di osservare gli altri. Mi spiego meglio: gli Altri ci servono perché possiamo essere osservati; osserviamo se ci osservano, insomma… Sei d’accordo?
P.B.: Esatto, hai centrato perfettamente il punto di vista di Tomas: lui, che è uno scrittore, si offre all’ascolto, questo è il suo punto di vista; poi ce ne è un altro, un po’ più nascosto, ma ufficialmente è lui a legare fra loro le storie.
G.: Insomma, l’attenzione per la parola, più che per la trama o per i personaggi…
P.B.: Sì, è quello che fa la differenza: il racconto della persona comune può sicuramente essere interessante, avvincente, ma in effetti qui c’è anche un po’ di critica, perché le storie che la gente racconta e di cui si sente protagonista non sono Letteratura, ci vuole qualcos’altro. La differenza è con che parole lo scrittore scrive… che poi è il motivo per cui mi metto davanti alla pagina: è proprio una sorta di piacere, di gusto; è anche una fatica, perché a volte devi stare sulla stessa frase a lungo perché non viene la parola giusta, ma al tempo stesso è proprio qui il piacere della scrittura.
G.: …Ed è Letteratura…
P.B.: Esatto: lo spero, l’aspirazione è quella…!
G.: In ogni caso (e ancora una volta uso espressioni che ho già usato nelle mie precedenti interviste a Paola Baratto e che trovate qui, sul blog) tu usi il colore delle tempere: i tuoi racconti e i loro protagonisti sono come gli acquerelli, trasparenti e al tempo stesso visibilissimi; io, per esempio, conosco una “Lilli”…
P.B.: Anche io…
G.: …Vedi? Infatti si capisce, si percepisce la concretezza del personaggio. Invece non ho mai incontrato Attilio, il “venditore di bellezza”, che trovo sia un’invenzione sublime: come ti è venuto in mente?
P.B.: …Sai che non riesco a ricordare? E’ stato uno dei primi. Volevo inserire un personaggio che deve arrotondare la magra pensione, ma volevo anche dargli una dignità e allora ecco che lui si inventa una cosa poetica e bella: spesso ferma persone distratte, che non si accorgono di cose che invece lui, che è pensionato e ha tanto tempo a disposizione, vede, e così indica loro “la Bellezza”. E’ una bellezza relativa: le cose belle le vedono tutti, ma lui indica particolari, sfumature… Per lui anche il profumo di pollo arrosto che nel quartiere si sente solo in quel determinato giorno della settimana è qualcosa di bello, qualcosa che se non si va in quel determinato punto della strada non si sente. E questa è una cosa che succede anche a me: un certo giorno della settimana passo in una delle mie vie e c’è questo profumo che chissà da dove arriva… Sono tutte cose che noto e adoro: esco, cammino e noto cose deliziose, ma minimali; bisogna avere l’occhio e il tempo per vederle; la maggior parte della gente cammina col cellulare e non ci fa caso, sono tutti troppo concentrati…
G.: …Sul nulla, a volte… Però, se è vero che hai messo un “venditore di Bellezza”, nel libro c’è anche qualcuno che cerca la “bruttezza”, o quello che gli altri considerano “brutto”, dando però a questa cosa “brutta” un che di artistico, come lo scultore che trae il bello dalla pietra: insomma, la Bellezza a volte ci viene offerta, ma altre possiamo crearla.
P.B.: Sì, trasformarla, è quello che dicevo prima: l’Artista fa qualcosa di diverso. Le persone comuni possono “raccontare” il cestino dell’immondizia dicendo che è un orrore: la professoressa del libro ha trovato il banalissimo sistema di trasformare il colore fotografico in bianco e nero e così nota che la differenza è grandissima e cose che sembravano banali o brutte all’improvviso assumono una dignità, un decoro, sembrano qualcosa di più bello. E’ la metafora della capacità dell’Artista.
G.: A un certo punto, leggendo, ho azzardato anche il famoso “canone aristotelico”: data l’unità di luogo, mi sono data da fare per trovare le altre due e in qualche modo le ho trovate perché, volendo, l’unità di tempo c’è. Il tempo che tu descrivi è vago: potrebbe succedere tutto in un’ora, o in un giorno, o in un periodo. Il tempo, qui, è secondario: sei d’accordo?
P.B.: D’accordissimo: c’è solo un’indicazione nell’ultimo racconto.
G.: E c’è anche l’unità di azione, nel senso che sono tutti – come si diceva prima – attenti a guardare, a farsi guardare e a guardarsi, e alla fine l’azione che fanno tutti è meravigliarsi: qualcuno si meraviglia della meraviglia altrui e qualcuno si meraviglia di non avere notato alcune cose, come si diceva prima. Per esempio, c’è la sorpresa di scoprire che Fernanda, che all’inizio nessuno voleva nel quartiere, incredibilmente ne diventa il cuore.
P.B.: Quello di Fernanda è un personaggio cui sono molto legata. Immaginavo il suo appartamento, che è un “social”, però un “social” vero, fatto di persone fisiche che si ritrovano nel Salone dove questa transessuale portoghese fa la manicure e pedicure e dove con sua madre ha creato una atmosfera soave, vivace; non mancano i pettegolezzi, ma lì si lenisce almeno un po’ la solitudine di chi lo frequenta, perché il quartiere è popolato da anziani che “hanno le case vuote”, come dicono a un certo punto. Si ritrovano: vanno al minimarket ma non hanno quasi nulla da comprare, giusto per fare due chiacchiere. Io lo vedo nel mio quartiere, qua attorno: a volte è così, la solitudine è molto presente nel libro. Per questo mi piaceva pensare che ci potesse essere un posto così.
G.: …Un po’ alla Ozpetek!
P.B.: Brava! Perfetto! Pensavo anche io a una cosa di questo tipo: ho immaginato l’atmosfera delle sue tavolate, informali, allegre, multietniche.
G.: Allora racconterò un piccolo episodio: dopo averlo intervistato, gli ho chiesto come mai nei suoi film ci fossero sempre le polpette; lui mi ha guardato strabuzzando gli occhi, come a dire “Ma che domanda fai?”, e mi ha risposto: “Perché poi me le mangio ..!”. Anche da Fernanda si mangia insieme, anche Fernanda fa le polpette!
P.B.: …Sì. “Bolinho de bacalhau” sono proprio le deliziose polpette di baccalà portoghesi, sì!
G.: Parliamo ancora della solitudine che, è vero, nel libro è molto presente. La domanda, mi perdonerai, è banale, ma veniamo da mesi difficili, siamo ancora in piena difficoltà e l’idea della solitudine, è rimasta addosso, attaccata, alle persone, amplificata, a volte distorta: c’entra la pandemia col tipo di solitudine che tu hai rilevato e hai sentito il bisogno di narrare?
P.B.: No, nel senso che questi racconti erano stati scritti prima: li ho legati più recentemente e il punto di vista di Tomas, su suggerimento della mia grandissima casa editrice Piero Manni, è stato approfondito
in seguito e ha fatto da legame per questi racconti. Il titolo, invece, quello assolutamente sì, perché l’ho trovato negli ultimi mesi. Volevo dare una idea di fiducia, di positività “nonostante”. “ E’ una bella giornata malgrado il vento” è una frase estrapolata dal racconto di Tomas e mi piaceva perché è come dire “Andiamo avanti, malgrado questo tempo avverso”. In questo la pandemia ha influito, perché volevo dare l’idea di una apertura… E poi, si ha tanta voglia di viaggiare, di cambiare orizzonti, ma mi sembra giusto farlo partendo dal proprio microcosmo; è un modo per celebrare anche quello che ci ha consentito di sopravvivere. Nel mio quartiere i negozianti sono stati speciali, adorabili: lo sono sempre, ma in questa situazione sono stati di grande aiuto, come le varie realtà di volontariato. Bisogna onorare anche i nostri luoghi “minimali”, considerare quanto siano stati utili e da questi ripartire.
G.: Hai anticipato quello che ti avrei chiesto e cioè se il “malgrado” del titolo fosse una conclusione o una introduzione: mi pare che tu abbia risposto in maniera perfetta. Invece, ti ho risparmiato la domanda “sul numero di pagine”. E’ un libretto agile e asciutto, che ci lascia tanta voglia di leggere altro di tuo: speriamo di poterci ritrovare presto per parlarne.