Carlo Pagliucci: “Il Mito di Roma in Musica. Dalla Repubblica Romana, alla Presa di Porta Pia… fino alla Repubblica Italiana”.
Ed Selecta- Città di Castello.
Pagg 284
€ 55,00
Nasce da un grande e sempre più raro sentimento il volume “Il mito di Roma in musica- Dalla Repubblica Romana, alla Presa di Porta Pia…fino alla Repubblica Italiana”: la riconoscenza.
A spiegarlo è il suo Autore, Carlo Pagliucci, aretino di origine ma ostiense di adozione, che alla Città Eterna e al suo litorale deve anni di piena serenità.
Ma non può esserci riconoscenza, e tanto meno amore, dove non c’è Memoria: ovviamente, quella legata a grandi momenti storici, ma anche quella fatta di immagini che testimoniano passione, coraggio, amor patrio e immenso talento musicale.
La musica, tanto amata da Pagliucci, è per lui diventata negli anni il viatico per conoscere e amare un mondo ad essa prossimo, ma del tutto sconosciuto all’Autore nei primi anni della sua vita: quello degli spartiti musicali illustrati, dei quali ben presto diventa grande ed espertissimo collezionista.
In questo volume, dunque, la musica e le immagini di un glorioso e sofferto momento della nostra Storia che ha avuto in Roma il suo centro nevralgico sono il mezzo con il quale la Memoria del passato, degli Eroi e degli Artisti che lo hanno epicamente vissuto viene recuperata e documentata quale bene preziosissimo, specie per i giovani, che sempre più lo ignorano.
Le oltre 280 pagine di grande formato che compongono il saggio sono una sorta di caverna di Alì Babà messa generosamente a disposizione del pubblico dall’Autore, che ha attinto alla sua vastissima collezione privata: uno scrigno di preziose immagini che accompagnano il racconto analitico di cento anni di Storia patria attraverso la musica e le immagini degli spartiti che la tramandano.
I vari capitoli (Il melodramma, La Musica papale, religiosa e sacra, I canti e gli inni patriottici, La musica strumentale) culminano in quello finale, dedicato al nostro Inno nazionale.
Il volume ha goduto dell’editing editoriale, puntuale e minuzioso, di Antonio de Robertis (noto al grande pubblico come storico Speaker, DJ, intrattenitore, regista e autore in R.A.I., fra l’altro protagonista dell’indimenticabile programma serale “Supersonic”), che ha donato alla pubblicazione una veste grafica elegante e appropriata.
Il volume piacerà sicuramente agli appassionati di Storia, di Musica e di Storia della Musica, ma a nostro avviso dovrebbe essere letto, come si trova scritto nella bandella, da “( …) una grande platea di lettori, al fine di ampliare la conoscenza e stimolare l’interesse e l’amore per la musica e per Roma” : e questo è anche il nostro augurio.
L’AUTORE:
Carlo Pagliucci, per trent’anni dirigente presso il Centro Sviluppo Materiali di Roma, ideatore dell’Accademia Europea degli Effetti Speciali di Terni (diretta dal Premio Oscar Carlo Rambaldi), musicologo e fisarmonicista, è uno dei maggiori collezionisti italiani di spartiti.
Collabora con numerosi organismi culturali (fra gli altri, l’Associazione Musicale Corelli e il Dizionario Musicale Italiano).
Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, quali Memorie storiche d’Italia nei Canti della Patria, La Romanza Italiana da Salotto e Da giovinezza a Bella Ciao.
Il saggio “Il mito di Roma in musica- Dalla Repubblica Romana, alla Presa di Porta Pia…fino alla Repubblica Italiana” è la sua più recente pubblicazione.
Ecco l’intervista a Carlo Pagliucci, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.
Canzone consigliata: Canto degli Italiani (Inno di Mameli).
Giancarla: Ben trovato all’Autore di questo interessante volume, che dà precisa l’idea di una confluenza di tante passioni: per la musica, per la Storia, per la città di Roma, per il collezionismo e forse anche quella per la condivisione. Le chiedo se sia d’accordo e da che cosa sia effettivamente nata la voglia di scrivere questo libro.
Carlo Pagliucci: L’unione di più interessi è una mia caratteristica: non mi sono mai specializzato in un solo genere; ho cercato sempre di condividere anzitutto due grandi visioni culturali, quella scientifica e tecnologica e quella umanistica. La prima è stata la mia professione; la seconda è stata la mia “evasione” e la mia passione. Il motivo base di questo libro, che poi è anche quello di altre mie recenti pubblicazioni, è la volontà di riappropriarsi e promuovere la nostra Memoria. In un’epoca che tende a distruggere tutta la Memoria, in un momento di pazzia globale dell’Occidente – e italiano non di meno-, mi sono posto l’obiettivo di recuperare la nostra Memoria e l’ho fatto con un’altra mia passione, oltre a quella storica e memorialistica, cioè la musica. Credo che la musica faciliti il recupero della Memoria e credo anche che in Italia siamo straordinariamente privilegiati per la ricchezza della nostra memoria musicale. Oggi non abbiamo bisogno degli iconoclasti che stanno girando nel mondo occidentale, ma abbiamo bisogno di costruttori e di “ricordo”. Vicino a questa motivazione generale ce ne sono poi di specifiche: sicuramente la principale è il saldare il mio debito di riconoscenza verso Roma e il suo mare (io vivo ad Ostia), che, dopo varie esperienze in altre parti d’Italia, mi hanno consentito di vivere con soddisfazione e gioia a misura d’uomo. Io vengo dalla provincia piccola, da Arezzo, in Toscana, da dove sono partito per la mia vita professionale, ma qui ho potuto di vivere felice, malgrado tutto quello che il giornalismo scandalistico scrive di questa zona. Vivo da cinquant’anni sul mare di Roma e non ho mai avuto nessun problema, non ho mai vissuto quelle scure atmosfere che sono state mostrate a ripetizione anche sulla televisione di Stato. Non nego che ci siano dei problemi, ma io mi sento in dovere di ringraziare in qualche modo Roma e Ostia, i luoghi dove ho vissuto più lungo.
G.: Questa mi sembra già una motivazione che giustifica la lettura del volume, perché la gratitudine, purtroppo, è un sentimento normalmente poco frequentato. Dicevo che questo libro è anche un oggetto straordinariamente bello. Lo so: non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina, ma in questo caso lo facciamo non soltanto perché la copertina dal bellissimo colore azzurro ci spiega il contenuto dell’opera, ma perché se si sfoglia questo lavoro (e qui mi permetto di fare un plauso a un signore che per noi che veniamo dalla radio è un maestro, quasi un mito in realtà: Antonio de Robertis, che ha curato minuziosamente il progetto grafico), si percepisce il piacere di fare qualcosa anche di bello, e non solo dal punto di vista estetico: io ho pensato a quella sorta di congiunzione che ci insegnavano a scuola, per cui il bello doveva essere anche buono.
C.P.: Sì, credo che questo binomio sia indovinato. L’ottica positiva che ha ispirato il volume evidentemente si riflette anche nella grafica, che risente della lunga amicizia con de Robertis, mio ex collega di liceo ad Arezzo che ho ritrovato su sponde diverse: lui grafico e io musicologo… senile. Sì, questo ha sicuramente aiutato, perché un altro insegnamento che ho avuto è che anche la combinazione dello scrittore con il grafico, la vicinanza amichevole, sentimentale e ideologica è importante per ottenere la congiunzione fra bello e buono che diceva lei.
G.: … Anche perché (e nel volume c’è il collezionista che condivide i suoi tesori) il libro propone immagini meravigliose, alcune delle quali sono vere trouvailles: penso, ad esempio, al Mazzini giovane, alle locandine e a tutti gli spartiti illustrati. Da quanti anni colleziona queste meraviglie?
C.P.: …Eh, questo lo scriverò un giorno nella mia autobiografia! Qui non si improvvisa nulla: pensi che è l’immagine dello spartito che ha scatenato la mia passione per la musica, e anche per lo spartito. Da ragazzo studiavo musica e fisarmonica. A quel tempo avevamo solo spartiti manoscritti, una cosa di una straordinaria freddezza: il maestro di musica scriveva dalla fine lezione o portava manoscritto il pezzo classico; insomma, non avevo mai visto uno spartito. Un giorno, la mamma di un mio amico di liceo mi regalò due spartiti, entrambi di Cesare Andrea Bixio, l’inventore della canzone italiana: da un lato c’era Vittorio De Sica che cantava “Dammi un bacio e ti dico di sì” e dalla altra parte “Vivere”, con Tito Schipa. Io lì ebbi l’innamoramento, da quel giorno: avevo 15 anni quando nacque la mia infatuazione per lo spartito e per il collezionismo, del quale la migliore sottosezione (la più notevole della mia grande e ricercata collezione di spartiti) è quella iconografica, forse la migliore in Italia. Trovare l’immagine di Mazzini fu poi un colpo di fortuna: dietro c’è scritto “Mazzini- Roma 1849” e quello spartito è l’unica immagine di Mazzini durante la Repubblica Romana, quando venne chiamato da Mameli con il famoso invito “Roma Repubblica, Venite”. Ci sono questo e altri cimeli.
G.: Tra l’altro, il libro è diviso in sezioni proprio per facilitare l’apprendimento (perché questo, alla fine e a tutti gli effetti, è un testo sul quale studiare): c’è anche una parte dedicata al nostro inno, con la curiosità che Mazzini non lo amava molto e avrebbe preferito qualcos’altro… che poi non gli piacque ugualmente. Le chiedo l’ultima cosa: nei canti che lei riporta, e non soltanto, c’è una grande passione, c’è una grande voglia di partecipazione: invece noi, poi, abbiamo immaginato la musica come evasione. Questo cambiamento dipende dai tempi, o sono altre le motivazioni per cui ormai siamo tutti quanti un po’ … addormentati? Questa passione, che veramente gronda da questi canti, da queste parole e anche da queste immagini, dove è andata a finire?
C.P.: Credo che sia un misto delle due cose: da un lato, una cosa che certamente si è perduta è che allora la musica, anche per la statura di alcuni compositori, era un modo eccelso di comunicare, era un mezzo di comunicazione superiore; non a caso molti di questi canti venivano esposti a teatro; durante la Grande Guerra anche le canzoni venivano esposte in teatro. Allora la musica era vissuta come forma di comunicazione nel luogo deputato alla cultura, alla condivisione. Dall’altro lato credo che sia venuta meno la spinta: quando non si ha più il ricordo del passato penso che non si abbia più la spinta nemmeno per il presente e per il futuro. Consideriamo “Fratelli d’Italia”, “Il canto degli Italiani” di Mameli, o “L’inno delle Nazioni” di Giuseppe Verdi: il nostro inno nazionale nasce, sì, in un momento contingente, ma richiama la nostra Storia, la nostra Memoria; se non ci fosse quella, il nostro inno cosa sarebbe? Anche “L’inno delle Nazioni”, grande inno di fratellanza, si basa su momenti storici del passato. Questo è il secondo, un po’ triste e decadente motivo per cui è venuta meno la molla comunicativa e forte dell’Ideale.
G.: La ringrazio. Sono davvero convinta quando invito le persone a cercare questo volume, che è -come dicevo- un vero libro di testo, perché ogni parola ha un significato, ogni nome merita di essere riscoperto; e ho anche una grande sorpresa per chi ci sta seguendo, perché per parlare di questo bellissimo volume ho nientemeno che Antonio de Robertis, che ho citato prima. Ti ringrazio tantissimo, Antonio, anche per tutte le meravigliose ore di radio che ci hai regalato: ne parleremo in futuro, ma ora occupiamoci di questo volume affidato alle tue cure che, come dicevo prima, mostra l’amore, l’attenzione per il dettaglio. Commentavo dicendo che in questo caso la bellezza non è solo un fatto estetico, ma è un elemento sostanziale: attraverso la cura e la bellezza del libro avete voluto anche comunicare la sua importanza. Qual era il tuo obiettivo?
Antonio de Robertis: Tecnicamente sono stato l’editor, cioè ho fatto i normali interventi sul testo, perché spesso l’Autore magari scrive in fretta e non si accorge dei refusi. Premettendo che il lavoro è durato da febbraio a ottobre compresi, a monte ho pensato che a un saggio così fatto, che parlava della nostra Storia e della nostra musica mescolate insieme l’una con l’altra sinergicamente, era importante dare un’identità nazionale. Per questo ho scelto una famiglia di caratteri che è nostra, esclusivamente nostra, cioè quelli della famiglia Bodoni (Giovanni Battista Bodoni è stato lo stampatore italiano per eccellenza), e poi ho pensato anche a una copertina che fosse in linea e chiamasse su di sé l’attenzione soprattutto perchè si parlava di Italia: la copertina è in blu Savoia. Perché blu Savoia? Perché, anche se negli ultimi anni non ha dato grande prova di sé, la famiglia è stata protagonista molto positivamente negli anni precedenti e l’azzurro, il Blu Savoia, è ancora il colore degli Italiani: infatti le nostre squadre sportive vestono anche oggi quel colore. La copertina in Blu Savoia ha due stampe: una della proclamazione della Repubblica Romana e l’altra della Presa di Porta Pia, trovata avventurosamente su una rivista inglese dell’epoca. Oltre al carattere Bodoni, per le didascalie ho usato il carattere Monterchi, creato appositamente per il Comune di Monterchi (dove, in un piccolo museo, è custodita “La Madonna del parto” di Piero della Francesca, uno dei capolavori assoluti della storia dell’arte italiana). Il carattere Monterchi, in tutte le sue declinazioni (corsivo, grassetto, normale), ha la caratteristica di essere molto elastico e quindi lo si può addensare senza che si impasti: per le didascalie era importante rimanere su una riga e questo tipo di font me lo ha consentito. È stato un lavoro che mi ha appassionato, uno di quelli che cominci la mattina e non riesci a smettere nemmeno dopo otto o dieci ore al computer…
G.: Si intuisce, infatti, che nulla è casuale in questo volume. Magari ci ritroveremo in futuro, se lo vorrai, per parlare del nostro grande amore comune: la radio. Antonio de Robertis (lo dico per quei due o tre che non lo sapessero) è stato uno dei grandi protagonisti di un programma storico che andava… a Mach 2 e si chiamava Supersonic (oltre che protagonista di molto altro, in radio e in televisione).
A.de R.: E’ un amore immortale.
G.: … Che non passerà mai.