“La bambina che non sapeva piangere”, Elda Lanza, Salani Ed.
2016
pagg 414
€ 14,90
Che il mio mestiere, specie di questi tempi abbruttiti da cialtroni in carriera, sia pieno di spine è cosa nota; né vale l’abusato aforisma per cui “fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”, se non per dimostrare la mia affermazione precedente. E’ altrettanto vero, però, che i privilegi che offre sono moltissimi: non parlo di questioni pecuniarie (anzi, qui calerei un velo pietoso), ma di altri, ben più appaganti piaceri, primo fra tutti quello di parlare con la gente e, ancora di più, del privilegio di incontrare persone speciali. Ce ne sono ancora, fortunatamente: una di loro è sicuramente Elda Lanza. L’ho incontrata qualche anno fa e ho avuto il piacere di intervistarla altre volte nella sua attuale veste di scrittrice di successo: ma con Elda Lanza si può parlare di tutto ed è un piacere ascoltare le sue risposte, sempre argute e intelligenti, pronunciate dalla sua voce meravigliosa, che il tempo non si azzarda ad appannare e che fra pochissimo potrete ascoltare voi stessi nell’intervista che ho raccolto per parlare con lei del suo nuovo romanzo. “La voce più bella del mondo”, venne definita da chi, nel 1952, la scelse come prima conduttrice della neonata televisione italiana(all’epoca si sarebbe chiamata “presentatrice”: anzi, il termine è stato inventato proprio per lei, per distinguere il suo lavoro da quello delle “annunciatrici”). Giornalista, femminista e impegnata in politica già in tempi in cui alle donne da pochissimo era stato riconosciuto persino il diritto fondamentale al voto (e sempre senza inutili strepiti o fanatismi), Elda Lanza sperimentava format e organizzava inchieste televisive sempre con grande competenza, forte di una solida formazione e di una classe innata. Pioniera anche nel settore della pubblicità, è stata fra i testimonial più amati di una nota marca di biscotti. Il suo primo libro viene pubblicato nel 1992 (I riti della comunicazione, Sperling & Kupfer), seguito da Ho una pazza voglia di amare (Sperling & Kupfer, 1992), Una donna imperfetta (Mondadori, 1993), La tavola (De Agostini, 1994), Signori si diventa (Mondadori, 1995), Una stagione incerta (Marsilio, 2006, opera con la quale ha vinto il premio letterario Antonio Sebastiani detto il Minturno), L’altra faccia della luna (Lula.com 2008). Da qualche anno scrive romanzi gialli e, naturalmente, lo fa a livelli molto alti, come dimostrano le migliaia di copie vendute. Ha creato il personaggio di Max Gilardi (Max, il nome di suo figlio: ma le somiglianze fra i due finiscono qui), ex commissario di polizia che ha lasciato la divisa per tornare ad indossare la toga: il suo romanzo di esordio, Niente lacrime per la Signorina Olga, è immediatamente un successo. La serie dedicata a Gilardi è continuata con altri titoli, tutti editi da Salani: Il matto affogato, Il venditore di cappelli, La cliente sconosciuta. Ora i lettori potranno seguire un nuovo capitolo con La bambina che non sapeva piangere: la conta delle copie vendute da Elda Lanza supera il ragguardevolissimo numero di 60.000. Nessuna sorpresa per questo suo ennesimo successo: stiamo pur sempre parlando di una signora che ha studiato con Jean Paul Sarte, ha visto gli esordi di Umberto Eco e Furio Colombo, è stata grande amica di Giorgio Gaber e Walter Chiari e ha condotto – prima fra gli altri anche in questo – una bella trasmissione dedicata ai libri e ai loro Autori. Insomma, una Maestra che, come tutti i Maestri veri, se la si chiama così si schermisce: “Non ho insegnato niente”. E questo, anche questo, è un grande insegnamento. Specie nell’ epoca dei cialtroni in carriera. Una preghiera: ascoltate anche l’audio dell’intervista; la voce magnifica, per nulla scalfita dal tempo, e il modo stesso di parlare di questa grande Signora vi conquisteranno (se mai ce ne fosse bisogno…).
L’Autore:
Elda Lanza è nota al grande pubblico per essere stata la prima presentatrice della televisione italiana. Giornalista, scrittrice ed esperta di comunicazione, ha insegnato storia del costume. Fra i suoi libri: La tavola, I riti della comunicazione, Ho una pazza voglia di amare, Una donna imperfetta, Signori si diventa e Una stagione incerta. Con quest’ultimo romanzo ha vinto il Premio Letterario Internazionale Il Minturno di Roma. Nel giugno 2014 è stata insignita del titolo di Commendatore al merito della Repubblica Italiana dal Presidente Napolitano. Elda Lanza oggi ha 91 anni e scrive gialli ironici ed eleganti come lei: Niente lacrime per la Signorina Olga e i seguenti Il matto affogato, Il venditore di cappelli, La cliente sconosciuta ed il suo più recente La bambina che non sapeva piangere hanno raggiunto oltre sessantamila lettori grazie a un passaparola travolgente e hanno inaugurato un nuovo modo di interpretare il romanzo giallo attraverso personaggi indimenticabili e pagine ricche di colore e di atmosfera.
Ecco l’intervista a Elda Lanza, il cui sonoro originale trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.
Canzone consigliata: “Le strade di notte”, Giorgio Gaber
Giancarla: I miei non sono convenevoli (facendo anche la rima) stucchevoli, ma è veramente con grande gioia che ospito nel mio “piccolo salotto” un mito, di cui dirò solo nome e cognome: Elda Lanza. Benvenuta!
Elda Lanza: Grazie! Che bella presentazione: grazie mille!
G.: Ho detto la pura verità, perchè per chi fa il nostro mestiere Elda Lanza è una Maestra, ma oggi è anche una grande scrittrice, una scrittrice di successo e, lo sappiamo, le due cose non sempre vanno insieme perchè si può essere molto bravi eppure raggiungere un pubblico limitato: invece nel suo caso, fortunatamente, i lettori non solo ci sono, ma crescono anche con questa, che è la quinta avventura del nostro amato Gilardi. Giusto?
E.L.: Giusto: mi faccia fare il conto… Sì, brava: ne sa più di me!
G.: E come sta Gilardi? Che cosa gli succede in questa avventura?
E.L.: “La bambina che non sapeva piangere” è il quarto libro di Gilardi, ovvero della “storia” di Gilardi avvocato, dei casi che lo riguardano ma anche della sua vita. Io lo paragono ad Ulisse, al suo ritorno a casa. Lui è tornato a Napoli nel secondo libro, “Il matto affogato”, però non è mai ritornato pienamente a casa come questa volta: questa volta lui è Ulisse. Torna, depone le armi e dice alla donna che ama, la sua Penelope che finalmente ha trovato: “Io avrò sempre il coraggio di ritornare da te”. Questa è proprio la sua storia che si conclude, e ho voluto che si concludesse con questo libro al quale io sono particolarmente attaccata, perché “la bambina che non sapeva piangere” …sono io (sono io in quanto “bambina che non sapeva piangere”, non sono la protagonista di questo libro, che è tutt’altra). Questo titolo mi piaceva, perchè era un ricordo triste che mi portavo dentro e che forse avevo voglia di buttar fuori: succede. “La bambina che non sapeva piangere” era una bambina che ha avuto i genitori che si sono separati quando lei aveva tre anni e mezzo. Sono rimasta per un po’ con mio padre: mia madre non la vedevo più. Poi sono tornata con mia madre ma non potevo stare con lei, perché si era risposata, e allora sono andata in collegio otto anni, ma mi dicevano: “Una bambina come te non deve piangere”; allora io stringevo le labbra e non piangevo. Ma ero una bambina “diversa”. Non è come oggi, che le famiglie “allargate” sono accettate: a quei tempi, una bambina che aveva i genitori separati non lo diceva, si vergognava, si sentiva “diversa”. Io ero di fede protestante e durante l’ora di religione mi facevano uscire dalla classe (non ho mai capito perché, ma così era) e anche per questo mi sentivo “diversa”: e sono cresciuta sentendomi continuamente “diversa” dagli altri, dovendo sempre puntualizzare chi ero, cosa facevo e che se ero un po’ meglio degli altri era perché ci mettevo più impegno…E’ stata una grossa fatica: ho avuto un’infanzia dolorosa, una maturità molto impegnata professionalmente, politicamente e in famiglia, e finalmente… ho una vecchiaia serena e felice. Sono così contenta di essere vecchia, che vorrei gridarlo al mondo intero! Ecco perché sono molto legata a questo libro, l’ultimo della serie di Gilardi avvocato, della sua vita: con questo titolo mi sono proprio liberata di tutti i ricordi. Il libro non c’entra niente con la mia storia, perché mio padre credo sia morto nel suo letto – e non l’ho certo ammazzato io; io non c’entro nulla con la protagonista, anche se lei è una diva della televisione (ma ha avuto una carriera completamente diversa dalla mia, cioè un grande exploit, è diventata famosissima e poi ha perso la fama e il contatto con la gente, mentre io ho avuto una carriera molto lenta, tranquilla: più di vent’anni di trasmissioni per le donne, di libri per ragazzi, quindi niente di entusiasmante, ma per me molto importante e caro), però questo è veramente un libro al quale ho dedicato il mio cuore.
G.: Fantastico!… Ma – lo dico sorridendo – adesso io sono messa male perché, dopo queste sue meravigliose parole non c’è nulla che io potrei chiederle di altrettanto interessante!
E.L.: Beh, vediamo un po’… Che cosa succederà dopo questo quarto libro di Gilardi, che chiude la sua storia? Intanto ne uscirà fra poco un altro (non dico il titolo perché l’Editore non vuole che si dicano i titoli prima che il libro esca): è un altro caso dell’avvocato Gilardi. Il mio Editore ne ha già altri tre nel cassetto: quindi io continuerò a raccontare il lavoro, l’opera, la professione dell’avvocato Gilardi, ma non più la sua vita, i suoi amori, i suoi …”disastri sentimentali”.
G.: Però questa è una scelta molto difficile; è un esito che, dalle sue parole, sembra naturale a livello “umano”, rende omaggio alla sua sensibilità e alla sua vita: però, valutando la cosa da un punto di vista narrativo, non pensa sia per noi lettori un po’ troppo dura?
E.L.: Mah… Forse sì. Forse, la lettrice – e io sono sicura di avere più lettrici che lettori- vorrebbe ancora sapere chi Gilardi ama, perché la moglie lo tradisce (se lo tradisce), i suoi bambini che cosa fanno,.. però questo porta l’attenzione del giallo in un campo vasto e anche più faticoso da tenere a bada; adesso, dedicandomi solo ai suoi casi, intanto i libri sono sono più ridotti, non sono più sulle quattrocento pagine, e poi il racconto viene fuori più scintillante, si vede lui al lavoro, si segue di più forse anche la sua mentalità, la voglia di indagare che gli è rimasta attaccata da quando faceva il commissario di polizia, più che la sua vita privata che oramai è su un binario più quieto.
G.: Le dirò una cosa: solitamente io non leggo le bandelle di copertina, cerco di avere un approccio totalmente autonomo quando mi avvicino a un libro; semmai faccio poi il contrario, cioè quando l’ho finito vado a vedere come viene descritto. E’ un comportamento forse un po’ anomalo, ma non voglio farmi influenzare…
E.L.: Lo trovo molto intelligente, se posso dire: anche io faccio così, anche io non leggo mai le bandelle.
G.: … Però questa nostalgia, nel senso del nostos richiamato dall’avvicinare la figura di Gilardi a quella di Ulisse, mi era arrivata molto chiara: non osavo pensare che fosse sua la storia della bambina che ha sofferto così tanto, però ero certa che lei stava sicuramente parlando di qualcosa che conosceva molto bene. Quindi si può parlare di una scrittura quasi terapeutica?
E.L.: …Perché no?! Sì. Francamente, alla fine di questo libro, dove avevo messo da parte molte cose di cui non ho mai parlato e scritto (né mai scriverò, perché sono la mia vita privata e quella riguarda soltanto me), è vera una cosa, e sono molto contenta che lei l’abbia capita: ero contenta di quello che le ho detto prima, e cioè che la vecchiaia è bellissima se la sai vivere togliendoti dal cuore tutti i dispiaceri, i dolori, i ricordi, le ansie che hai avuto… Basta, basta, basta..! Viviamo al momento! Grazie a Dio siamo in buona salute, grazie a Dio ho ancora il cervello, grazie a Dio so ancora fare una cosa che mi piace, che mi appassiona. Io non sono mai stata così serena come da quando sono vecchia. Ho paura di dirlo….
G.: Beh, tocchiamo ferro, o legno! …Però non penso nemmeno, se posso permettermi questa impertinenza, che questo le “succeda”: invece credo che questa sua serenità sia stata man mano “costruita”. Non penso, insomma, che l’approdo sia sempre casuale, no?
E.L.: No, certo, no. Non è casuale e probabilmente ha ragione lei: senza saperlo veramente, a piccoli passi t’avvicini, t’avvicini, t’avvicini e a un certo momento ce l’hai di fronte. L’affronti e te ne vai. E devo dire, mi creda, che la vecchiaia è bellissima, è una bellissima stagione della vita – se sei in salute, naturalmente, è un presupposto indispensabile: sì, devo dire che è un bellissimo momento della vita.
G.: Che meraviglia sentirglielo dire e sentirle dire queste parole con la voce che lei ha oggi: perché anche la voce, lei lo sa, rischia di avere delle rughe…
E.L.: Certo. Mi hanno preso in televisione perché avevo “la più bella voce del mondo” – mi dissero- la più bella che avessero mai sentito…
G.: …E credo che non abbiano sbagliato! Posso allora, anche approfittando della sua disponibilità, essere un po’ indiscreta (per la verità, le avevo già fatto questa domanda quando ho avuto il piacere di chiacchierare con lei in passato): questo sottolineare l’età delle persone, che è un tormentone del nostro tempo (ormai, anche sui quotidiani si legge: Mario Rossi, anni…: ma che ce ne importa, mi verrebbe da dire!), non pensa che sia un modo per etichettare la gente, a volte benevolmente, a volte molto meno?
E.L.: Sì, assolutamente sì. Io l’ho sempre trovata una cosa molto stupida: quando facevo la giornalista ricordo che mi dicevano sempre di mettere tra parentesi l’età. Mi sembrava una sciocchezza. Ma sottolineare che una persona che scrive un libro giallo, lo pubblica e ne vende sessantamila copie ha novantadue anni (novantuno e mezzo, in verità) forse è un modo per gratificarla. Credo che chi scrive di me: “Elda Lanza, novantun anni ben spesi” – o altre sciocchezze del genere- lo faccia in fondo per qualificare la mia come un’età fantastica, come un’età vincente, come un risultato positivo della mia vita: quindi io lo accetto con molta benevolenza, con molto affetto, anzi.
G.: Queste sono parole di pura intelligenza: del resto, se noi siamo davvero orientati a conoscere l’ignoto – e siamo così tornati al discorso del viaggio di Ulisse che ci deve sì riportare a casa, ma attraverso l’ignoto – è evidente che quello che meno conosciamo è ciò che non abbiamo vissuto e, dunque, la vecchiaia. Ecco perché c’è una specie di fascinazione che riguarda lei, in questo caso, ma anche altri Autori molto importanti. Ed è così che ritornate al vostro ruolo: voi che siete più grandi, siete anche i nostri Maestri.
E.L.: …Io non mi sento Maestra di nessuno, anche perché credo che ognuno abbia una vita talmente su di sé, fatta delle sue cose, dei suoi pensieri, dei suoi errori, delle sue piccole vittorie, delle sue sconfitte, dei suoi pianti, del suo nascondersi, del suo vantarsi … La nostra vita veramente ce la facciamo noi. Io posso dire sinceramente di non essere stata una buona Maestra neanche per mio figlio: sono stata una madre molto assente. Lui mi ama molto, io lo adoro, ci somigliamo e andiamo d’accordo anche per quello, però sono stata una madre assente e lui è stato un bambino che è cresciuto, diventando ragazzo e poi uomo, con le sue mani… però sempre dicendomi “Tu c’eri, io sapevo che tu c’eri. Quando avevo bisogno, tu c’eri”. Ecco: in quel “Tu c’eri” io mi sento, non dico “promossa madre dell’anno”, ma “promossa dentro di me”. Mi dico che è vero, ero molto assente, lavoravo, avevo molti impegni anche politici, facevo la femminista in giro, non sono stata la mammina affettuosa e adorata che ti mette a letto e ti canta la ninna-nanna: però il fatto che lui sentisse dentro di sé che io c’ero mi rincuora, mi appaga, e devo dire che un po’ mi consola.
G.: E infine le chiedo conferma delle sue nuove pubblicazioni, al di là di quelle che ci ha anticipato, e che riguarderebbero invece la sua attività di Autrice non giallista: di che cosa si tratta?
E.L.: Eh… sì, ma… come fa a saperlo? Brava giornalista! Allora: sì, a fine settembre uscirà per Vallardi un libro intitolato “Il tovagliolo va a sinistra”. Come si indovina dal titolo, non è un Galateo (anzi, al solo sentire le parole Galateo e bon ton mi viene l’orticaria), ma è un libro che racconta la storia del Galateo, come si evolve e come si trasforma la tavola nei rituali continui, quelli che conosciamo e che quelli che no, perché ogni giorno ne viene fuori una nuova… E’ un libro molto complesso, ma molto divertente: fra l’altro, ho avuto la collaborazione di personaggi incredibili, come Giancarlo Livraghi, l’Autore de “Il potere della stupidità”, che ha scritto dei pezzi fantastici, e Hans Tuzzi, che ha scritto la prefazione (straordinaria, allegra, lui, così serioso, sempre così milord). E’ soprattutto una grande storia del costume cui io sono molto legata, perché sono stata insegnante di Storia del costume: ma è un libro divertente, non un Galateo.
G.: Una piccola anticipazione: il cellulare a tavola…?
E.L.:…No, i cellulari a tavola sono…sono… Ecco: forse potrei concederlo, forse no, ma forse sì, solo a un medico; se lo chiama un Pronto Soccorso, per carità. Ma quando non avevamo il cellulare, cosa succedeva? Morivamo tutti per strada? Non credo! Abbiamo vissuto, eravamo allegri, compiacenti, amici… Adesso, se non hai un cellulare in mano non sei nessuno. Va beh, io sono vecchia, non ci posso fare niente.
G.: Veramente la penso esattamente come lei, mi faccio anche io la stessa domanda: come era la vita prima del cellulare? Ci si potrebbe fare un altro libro!
E.L.: Sì, e sarebbe un bellissimo titolo: “La vita prima del cellulare”.
G.: Perché no?… Nel frattempo, io la ringrazio della disponibilità.
E.L.: Sono io che ringrazio lei: è sempre talmente gradevole parlare di sé, … e io non sono un’eccezione. Sono felice, quando mi capita, soprattutto con buone domande, domande intelligenti, e non buttate lì tanto per fare due chiacchiere.