Luis Bacalov
Per il gruppo editoriale per il quale lavoravo allora (Epolis), ho avuto il piacere di intervistare Luis Bacalov, qualche anno fa: ne riporto il ricordo di un signore cortese, disponibile a parlare senza fretta malgrado la forte bronchite gli creasse non poche difficoltà. Alla fine della nostra chiacchierata, mi diede appuntamento al recital che avrebbe tenuto qualche giorno dopo proponendo al pianoforte le sue musiche e l’amatissimo tango. Ci andai, naturalmente: mi salutò con grande semplicità mentre, da solo, fumava in attesa di entrare in scena. Vedendo che mi avvicinavo io, altre persone lo raggiunsero: per tutti, un sorriso, una stretta di mano, un autografo.
Se fossi stata più coraggiosa, o sfacciata, lo avrei ringraziato per avere reso speciali, con i suoi arrangiamenti, canzoni che ho molto amato da bambina, e per aver scritto quel “Concerto grosso” che, anche grazie al genio di Sergio Bardotti, aveva avvicinato la mia generazione alla sperimentazione un po’ folle ma di grande qualità, che voleva mescolare gli strumenti del rock alle sonorità barocche; gli avrei raccontato quanta fatica mi fosse costata, in tempi in cui percepivo una “paghetta” miserrima e saltuaria, racimolare i soldi per comprare prima il 45 giri e poi, finalmente e grazie a una promozione del negozio, il 33; e gli avrei confidato che, ripensandoci oggi, attraverso quei ricordi anche a lui legati, provavo una tenera riconoscenza per i miei genitori, che avevano “subito” senza protestare la lunga serie di ascolti ripetuti e ossessivi di quel disco che mi aveva così tanto affascinato… ma ho sempre paura di risultare invadente, e non l’ho fatto. Lo faccio ora.