“Pessima mossa, Maestro Petrosi”, Paolo Fiorelli
Sperling & Kupfer 2015
Pagg 324
€17,90 Ebook € 9.90
Prendete una scacchiera su cui si sta svolgendo un’importantissima disfida a scacchi; aggiungete un nobile, trovato morto in un lago di sangue proprio alla vigilia della storica partita, e uno sfidante accusato del crimine e quindi costretto a indagare per difendersi dalla gravissima accusa; guarnite il tutto con un gruppetto niente male di comprimari (una affascinante ragazza ucraina che potrebbe diventare una giocatrice professionista, uno scombinato campione di scacchi albanese, un figlio che deve risolvere più di qualche grave problema di relazione con la figura paterna ed una madre onnipresente e opprimente); condite con una ricca ma non esagerata dose di informazioni sugli scacchi, la loro storia, i mitici campioni e le loro più epiche partite; spruzzate con un bel po’ di humor, completate con un velo di mistero e infine mescolate con delicata energia.
Eccovi servito il romanzo di esordio di Paolo Fiorelli, “Pessima mossa, Maestro Petrosi” (Sperling&Kupfer), piacevolissimo giallo per il quale l’aggettivo “intelligente” è così implicito da apparire quasi pleonastico.
Senza tanti paroloni, si tratta di una distensiva lettura che farà piacerà agli appassionati del gioco degli scacchi e interesserà anche chi se ne intende meno: … ovviamente, senza nulla togliere all’intreccio e alla soluzione del mistero, intrigante e ben orchestrato, che gradiranno gli appassionati del genere.
Protagonista è il Petrosi del titolo, Maestro di scacchi dalle forme opulente, figlio soccombente, marito fallito e genitore detestato, che si improvvisa suo malgrado detective: non bastasse, Petrosi se la deve vedere anche con il mistero di una partita che sembra giocata da un fantasma…
E’ un giallo, si diceva, ma si può tranquillamente anticipare ai futuri lettori che Petrosi è innocente: e, del resto, la rivelazione è necessaria a chi scrive per auspicare una nuova avventura dei personaggi che Paolo Fiorelli, classe 1971, appassionato di libri e scacchi (oltre che di cinema, di cui settimanalmente scrive su Tv Sorrisi e Canzoni), ha messo insieme con mano felice.
Vedrete, ne sentiremo parlare ancora…
Ecco di seguito l’intervista a Paolo Fiorelli, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio della pagina.
Canzone consigliata: “Come deve andare”- Max Pezzali
p.s.: … guardate il video…
Giancarla: Ci può riassumere la storia di questo piacevolissimo giallo?
Paolo Fiorelli: La storia è questa: c’è un grande Maestro di scacchi, Achille Petrosi, che è un giocatore professionista e ama vivere nel suo mondo di calcoli, gioco e tornei, ma deve improvvisarsi detective quando gli succede una cosa insolita e preoccupante e cioè che un suo avversario viene trovato ucciso e, visto che era un suo avversario storico, lui finisce fra i sospettati. Un po’ per questo, un po’ perché ad Achille Petrosi non piace vincere per “abbandono della vita” da parte degli avversari, non gli piace che qualcuno li uccida, decide di fare chiarezza e si mette a indagare: scopriremo che in realtà le qualità del giocatore di scacchi e del detective sono simili, perché entrambi devono elaborare un piano, devono capire le “mosse” degli avversari, hanno bisogno di intuito, di fantasia e quindi, nonostante lui sia un detective goffo, alla fine se la caverà abbastanza bene.
G.: Sì, questo si può anticipare: naturalmente non anticipiamo null’altro, perché siamo di fronte a un giallo, che è molto accattivante sin dal titolo. Anzi, voglio aggiungere una cosa: benchè si dica che un libro non si giudica dalla copertina, io ho trovato molto piacevole e accattivante, appunto, anche la copertina che raffigura un Pedone degli scacchi che precipita all’interno di una Torre. E’ una scelta che indica le sue grandi passioni, per gli scacchi e per il romanzo giallo, visto che ha scelto proprio questo genere per il suo esordio come scrittore.
P.F.: Infatti. Ho pensato che le due passioni si potevano unire. Mi piacciono gli scacchi e mi piacciono, e molto, i gialli, i misteri ed ho trovato che, in fondo, anche la partita di scacchi è un giallo in cui viene ucciso il re e bisogna capire come viene ucciso: dunque, le similarità sono molte. Gli scacchi hanno un grande valore simbolico e l’immagine di cui parlava simboleggia appunto il “precipitare” del mio protagonista dentro ad una specie di incubo, di ossessione, da cui non sa se uscirà; anche il titolo, “Pessima mossa, Maestro Petrosi!” si riferisce, come si dice in un passaggio del libro, alla decisione di indagare perché ovviamente è una “mossa” molto pericolosa per un non-professionista delle indagini.
G.: In effetti, (in copertina: n.d.r.) ci sono alcune porte, qualcuna chiusa, altre aperte, a significare che le vie d’uscita sembrerebbero tante ma alla fine una sola è quella giusta. E’ molto interessante il profilo del protagonista: visto che parlo con un giallista e i nomi sono importanti, non mi dica che è un caso se ha scelto “Achille” e “Petrosi”!
P.F.: …Beh, no…Mi piaceva il suono, innanzitutto: penso che quando si scrive il suono e il ritmo delle parole vengano prima di tutto, ma poi, ovviamente, ci sono anche delle “eco”: “Achille”, perché sotto sotto è anche un combattente (del resto, un campione di scacchi deve esserlo, perché ogni partita è un duello all’ultimo sangue con l’avversario, anche se solo a livello mentale, e non per questo meno crudele) e “Petrosi” perché è un tipo un po’…petroso, solido, pesante, ben piantato, veste sempre molto coperto, si muove lentamente, è prudente anche nel gioco, sta sulla difensiva, gli piace stare “chiuso”, ma sarà costretto a uscire in un mondo anche pericoloso e che non lo rassicura, che non conosce bene. E poi, per gli specialisti un tocco in più: il riferimento a un campione del passato, che si chiamava Petrosjan. Era campione del mondo negli anni ’60 ed era famoso per il suo gioco molto difensivo: veniva definito “il coniglio più coraggioso del mondo” perché era molto pavido, chiuso e sull’attenti quando giocava; mi sembrava che potesse andare bene per il mio personaggio.
G.: Il suo tipo di scrittura, oltre ad essere molto piacevole e scorrevole, non riserba quei trabocchetti da giallisti per cui al lettore vengono celati degli indizi e quindi non ce la farà mai: invece, qui il lettore viene accompagnato dall’Autore nella soluzione del caso, che è comunque bella e sorprendente. Di questo, intanto, la ringrazio, ma è stata una scelta più da “scrittore” o da “lettore”?
P.F.: Entrambe le cose: penso che non si debba ingannare il lettore del giallo, che deve avere la possibilità (anche se difficile, altrimenti non è divertente), raccogliendo tutti gli elementi, di risolvere il giallo… e se ci riesce buon per lui, non è un problema per nessuno e gli faccio i miei complimenti! Fra l’altro, sempre ispirandomi agli scacchi, ho dato ad ogni capitolo il nome di una “mossa”: non si chiamano “capitolo uno, due”, eccetera, ma “prima, seconda, terza mossa” non solo per fare un giochetto, ma anche per suggerire che il libro è una vera partita che io gioco col lettore; è come se dicessi: “Caro Lettore, ogni capitolo è una mossa della nostra partita, in ogni capitolo c’è un indizio e alla fine anche tu potrai provare a vincere”. Ovviamente la soluzione è molto difficile e paradossale, perché a me piacciono i gialli che sconfinano nel fantastico e quindi vedremo che fra i vari indizi ci sono una scacchiera, un quadro, un rottweiler e addirittura Stalin: come si fa a mettere insieme tutte questa cose? Però Petrosi potrebbe riuscirci, e anche il Lettore, se guarda bene fra le righe…
G.: Sì, però togliamo ogni illusione ai futuri lettori: non è per niente facile; l’Autore, bontà sua, dice che ci si può riuscire, ma…con grande fatica, e chi riesce è davvero bravo! Ma come le è venuta l’idea di scrivere questo giallo?
P.F.: Ho trovato molto affascinante il mondo degli scacchi e ho sempre amato i gialli, soprattutto- come dicevo- quelli col gusto del paradosso (penso al Chesterton de “I racconti di Padre Brown” o “L’uomo che fu giovedì”, che sconfinano quasi nel fantastico) e infatti anche il mio ha una costruzione e una soluzione paradossale e giocosa, come è giusto essendo gli scacchi un gioco. Ma quello che mi ha colpito è che ho trovato molto adatta alla figura del detective quella del giocatore di scacchi e, anzi, mi ha stupito che nessuno l’avesse fatto prima: quindi mi sono detto “Devo farlo io, al più presto possibile”.
G.: Meno male, perché ne è uscito un libro di piacevole lettura, che poi è anche una specie di manuale per chi sappia già giocare a scacchi e una introduzione al gioco degli scacchi anche per chi, come la sottoscritta, abbia giusto una vaga idea di che cosa sia la scacchiera: questo è un aspetto tecnico che credo le abbia creato comunque una sfida dal punto di vista narrativo, e cioè rendere accessibile qualcosa di riservato a una cerchia (non so quanto ampia o ristretta, ma comunque molto definita) di lettori.
P.F.: Sì, devo dire che questa era una cosa che mi attirava molto: secondo me è molto bello entrare in un mondo sconosciuto di specialisti senza esserlo, perché si resta ancora più affascinati. Quindi ho voluto scrivere questo libro non per gli specialisti, anche se loro hanno apprezzato, ma soprattutto per chi non conosce questo mondo. Mi hanno sempre affascinato le opere racchiuse in un microcosmo: penso al “Deserto dei Tartari”, dove tutto si svolge in una fortezza militare o a “La montagna incantata”, che si svolge in un sanatorio e “Il nome della rosa” che è in un monastero; sono tutti “mondi chiusi” che però contengono tutte le passioni e tutte le emozioni dell’universo. E’ molto bello conoscerli attraverso l’opera dello scrittore senza essere degli specialisti. Per me è stato molto affascinante, leggendo “Il nome della rosa”, apprendere da Umberto Eco tutte le finezze delle discussioni teologiche del Medio Evo, anche se non ne sapevo niente, e penso che abbiano affascinato più me di uno specialista che già le conoscesse! Spero che allo stesso modo funzioni il mio libro per il mondo degli scacchi, che è molto segreto, molto misterioso, con regole tutte sue, con tradizioni sue: le persone che ne fanno parte un po’ ci tengono a questa segretezza, è come una setta che non vuole farsi conoscere. Invece io ho pensato che chi entrerà nel libro entrerà anche in un mondo che non conosce e che potrà affascinarlo anche di più, per questo.
G.: Lei ne parla trasversalmente, nelle sue pagine, ma io la domanda su intelligenza e successo nel gioco degli scacchi devo farla: davvero per vincere agli scacchi bisogna essere più intelligenti- o, se preferisce, solo le persone intelligenti vincono agli scacchi-, oppure è un luogo comune?
P.F.: …Diciamo che è, in buona parte, un mito, anche se sicuramente è un gioco basato sul ragionamento e sulla logica e quindi bisogna avere almeno “quel” tipo di intelligenza. Sappiamo che ci sono molti tipi di intelligenza: emotiva, razionale, creativa, artistica…L’intelligenza dello scacchista è soprattutto “logica”, cioè la capacità di fare un ragionamento logico, stringente e che sia superiore a quello dell’avversario. Però non è solo una prova di intelligenza, perché lo è anche di conoscenza, esperienza e di memoria; è soprattutto una prova di conoscenza, perché per giocare bene a scacchi bisogna conoscere gli schemi, come in altri giochi complessi… Mettiamola così: una persona molto intelligente, che però ha giocato poco, perderà sicuramente contro una persona meno intelligente ma che ha giocato di più e conosce di più il gioco: è un mito la storia che sia solo una gara di intelligenza. Certo, l’intelligenza ha la sua parte e questo spesso rende crudeli. Diceva un campione come Kasparov che gli scacchi sono il gioco più crudele che esista insieme alla boxe, perché quando si sale sul ring la persona che soccombe è la più debole, è come se l’avversario dicesse “Io sono più forte, tu più debole”; negli scacchi avviene la stessa cosa, però a livello psicologico, il che può anche essere più doloroso perché è come se chi ti batte dicesse “Sono più intelligente di te”, cioè una cosa che è quasi insopportabile…Bisogna capire che è solo un gioco e che non è solo una questione di intelligenza: però la sensazione è molto forte, soprattutto se tra i due avversari non corre buon sangue; nel mio romanzo, Petrosi dovrà affrontare anche il suo più terribile avversario, che è una specie di “estremista integralista” del gioco, che lo odia e lo accusa di essere un mediocre: suo figlio Nicola.
G.: Non vediamo l’ora di ritrovare Petrosi… perché lo ritroveremo, no?
P.F.: … Diciamo che…nello scrivere mi sono molto affezionato a questo personaggio e quindi ci sono buone probabilità…