Sanremo 2019
…E così, ha vinto Mahmood. Sorpresa? Sì, almeno un po’ (come spiegherò), ma per quanto mi riguarda piacevole. In realtà, a parte le canzoni che nel bene e nel male mi hanno colpito a livello personale, quest’anno non ero riuscita a focalizzare con sicurezza una classifica finale: quindi, in un certo senso, la terna vincente può anche andarmi bene così. Non commenterò analiticamente ogni protagonista, parlerò molto poco delle canzoni, ragionerò solo di ciò e di chi mi ha in qualche modo colpita. Sarà una lunga, lunga, lunga riflessione: preparatevi!
- Sanremo e la tv: già il fatto che la prima riflessione mi porti a ragionare sullo show televisivo e non sulle canzoni che contiene la dice lunga sul mio pensiero complessivo. Chi mi segue sa che da anni ribadisco che oramai Sanremo sia (meglio, è: l’indicativo, modo della realtà, qui è più efficace) un grande spettacolo televisivo che, qua e là, propone canzoni degne di nota. Quando ero bambina (tanto tempo fa, ma nemmeno poi così tanto) i “contest” musicali in tv erano molti e li trasmetteva tutti la RAI (non esistevano reti private, va ricordato ai più giovani): “Il Cantagiro”, “Un disco per l’estate”, “Festivalbar” (poi passato sulle reti Mediaset) e soprattutto “Il Festival degli sconosciuti” di Castrocaro Terme, per esempio; il massimo livello della gara si raggiungeva con la vittoria a “Canzonissima”, mentre il massimo del prestigio era, appunto, arrivare primi al Festival di San Remo. Via via che gli anni passavano, le gare musicali televisive languivano: l’Italia della seconda metà degli anni ’70 era molto lontana musicalmente, filosoficamente e politicamente dalle canzoni sanremesi. C’erano i cantautori, più o meno impegnati, c’erano gli anni di piombo, c’era, soprattutto e purtroppo, l’inizio della tendenza a rifiutare il confronto con gli altri sottoponendosi serenamente al loro giudizio, artisti compresi (del resto “Nessuno mi può giudicare ” é, guarda caso, una canzone nata nel 1969 a Sanremo: scherzo, ovvio, … forse…) Eppure proprio in quegli anni dal Festival nacquero Rino Gaetano, Anna Oxa e, poco dopo, Vasco Rossi: le eccezioni confermano sempre la regola. Il Festival di Castrocaro costituiva il serbatoio dei “giovani” che poi avrebbero partecipato a Sanremo: fra gli altri ha sfornato negli anni Iva Zanicchi, Caterina Caselli e Fiorella Mannoia fino a Giuni Russo, Zucchero ed Eros Ramazzotti, per dire. Poi, svaporato l’incanto degli anni precedenti e trasformato il panorama televisivo, a Sanremo sono arrivare le categorie dei giovani e dei big, i duetti fuori-gara, il dopo-festival, l’anteprima, eccetera… E le canzoni, sempre meno centrali.Tutto fa brodo, the show must go on, business is business: non mi scandalizzo, c’è una logica del tutto rispettabile dietro, però, allora, si dovrebbe dire che Sanremo è altro, che davvero è solo una passerella che presenta la musica italiana, ma non come essa è, quanto come la intende il direttore artistico di turno. E così arriviamo al punto due
- Claudio Baglioni. Non ho dubbi affermando che il miglior Festival degli ultimi anni porta la sua firma, ed è quello dello scorso anno: però, pur apprezzando il tentativo di avvicinare i più giovani all’evento (attenzione: all’evento, non alla musica migliore), rilevo che Baglioni ha selezionato i brani immaginando di incontrare il gusto del pubblico. Data la competenza ed autorevolezza di Baglioni e di Mauro Pagani, avrei preferito che questo show provasse anche ad “educare” i giovani con qualcosa di nuovo: rap e derivati sono oramai roba sentita e risentita. Del resto, per fortuna, la musica non è una questione anagrafica, come non lo è, in generale, l’arte: altrimenti non si spiega l’amore per antichi come Mozart, Bach, Beethoven, Puccini, eccetera, no? La pubblicità, questo sì, la manipolazione pubblicitaria riempie le teste e così quello che non interessa per fare soldi facili fatica a trovare spazio. Troppo comodo compiacere il pubblico, blandirlo per attirarne l’attenzione e poi dire che è stato lui a scegliere; né la vittoria di Mahmood è significativa in questo senso. Mi spiego: se date alla gente solo la minestra, quella sceglieranno dal menù; qualcuno la vorrà più sapida, qualcuno più asciutta, qualcuno con la pasta e qualcuno col riso ma se vorranno mangiare qualcosa tutti sceglieranno la minestra; ma provate a mettere le persone davanti ad una tavola imbandita come si deve e poi mi direte se la minestra avrà altrettanto successo. In altri termini, era logico anche statisticamente che avrebbe vinto un giovane fra i giovani. Pensavo sarebbe stato Ultimo, invece è stato Mahmood. Personalmente, ne sono lieta. E comunque, a dimostrazione che il primo a sapere che la musica italiana è altro è proprio Baglioni, che infatti ha aggirato intelligentemente l’ostacolo accogliendo fuori gara big come Giorgia, Ligabue, Mengoni, Elisa, eccetera. In ogni caso, ad onta del tentativo di dare della musica italiana una immagine “alternativa”, all’Eurofestival andranno i “Volo”: sono lieta per loro ed i loro fans, ma dove sta l’innovazione?
- Raffaele/Bisio: non avrei mai pensato di doverlo ammettere, ma sono stati proprio loro la nota stonata. Presi singolarmente sono ottimi artisti: insieme, però, non hanno funzionato. Non so se fra i due sia sorta una qualche forma di antipatia o se, semplicemente, non avevano chimica: certo è che nelle ultime due serate quasi nemmeno si guardavano, rifiorendo solo quando si confrontavano con altri. Il problema vero, però, nasce dal fatto che, come ho già scritto nei miei post su Facebook, non è per niente vero che chiunque possa fare qualsiasi cosa nel mondo dello spettacolo: per la verità, non è nemmeno vero che chiunque possa accedere al mondo dello spettacolo… ma questo è un altro discorso. Il presentatore è/era colui che, appunto, presentava: “Signore e signori, buonasera. Ecco a voi la canzone “Blablabla”; dirige l’orchestra il maestro Tizio; canta Caio”. Arrivederci e grazie. Questo presentatore non esiste più da decenni: al suo posto è arrivato il “conduttore”. Permettetemi ora di dire una cosa di me e non tacciatemi di presunzione: la sottoscritta, oltre a leggere, scrivere e parlare in radio, tv, giornali e web, oltre a dirigere due radio, oltre ad avere persino recitato in teatro, ha anche da sempre “presentato”(meglio: “condotto”) spettacoli musicali e non; so quindi benissimo quanto il ruolo del conduttore-presentatore sia spesso considerato accessorio da certi organizzatori, ma so anche quanto, al contrario, sia fondamentale per il buon andamento dello show. Ho presentato spettacoli con poco pubblico o davanti a qualche migliaio di spettatori, ho presentato gente famosissima e perfetti sconosciuti, ho presentato davanti a giovani e anziani, colti e non, ma il risultato non è mai cambiato: se funzionavo io, funzionava anche il resto. E’ il conduttore che crea un rapporto col pubblico, che lega lo spettacolo, che riempie i tempi morti e accorcia quelli lunghi: insomma è, a tutti gli effetti, il padrone di casa. Ecco: a Sanremo la casa era a suo modo bella, ma i padroni di casa non hanno saputo creare il giusto clima. Il mestiere aiuta, certo, ma non si tratta solo di pura tecnica: ci vuole anche il cuore, anzi il batticuore condiviso, il senso della squadra; quelli non c’erano, e si è percepito. Si aggiunga che, purtroppo per lui, il monologo di Bisio era fiacco e il paragone, sgradevole ma istintivo, con quello di Favino dello scorso anno è impietoso; ci si metta pure che la Raffaele ha fatto qualche imitazione solo l’ultima sera, ma quasi fosse una esibizione fra amici e non in uno show televisivo; si completi con la solita, annosa questione della modestia dei testi e si capisce come, alla fine, tanto talento sia andato sprecato. Peccato.
- Le canzoni: non ho molto da dire; non mi hanno entusiasmato, né musicalmente, né come testi, benché alcuni siano scritti bene, con una encomiabile attenzione ai tempi in cui viviamo e malgrado non siano mancate performances interessanti, ma non c’è niente, quest’anno, che mi porterò dietro: tranne, lo sapete già, la canzone di Simone Cristicchi ( al quale per questo dedico la foto di copertina), che ha in sé qualcosa di terribilmente struggente che mi commuove. Nelle canzoni di quest’anno si parla di adolescenti infelici, abusati, malati; di padri e nonni morti; di una società sgranata, magari anche cupa: beh, nessuna nuova sotto il sole. In tempi non sospetti, a Sanremo si sono cantate canzoni ecologiste (“Il ragazzo della Via Gluck, 1966, e “L’arca di Noé”, 1970), pacifiste (“Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, 1967), a sfondo sociale (“Le opere di Bartolomeo”, 1968; “Chi non lavora non fa l’amore”, 1970), sul disagio giovanile (“Pa’ diglielo a ma’”,1970, “Vita spericolata”, 1983), sulla gioventù cresciuta e sfiorita troppo in fretta (“4/3/1943”) e persino sulle morti bianche (“Era bello il mio ragazzo”, 1972), e chissà quante ne verranno in mente anche a voi. Quindi?
In conclusione, molte altre cose potrei aggiungere, ma ho già scritto anche troppo: mi limiterò ad una considerazione, anche sulla base dei molti interventi sulla mia pagina facebook.
Sanremo è qualcosa che, nel bene e nel male, ci appartiene; che lo seguiamo o no, che ci piaccia o meno, che lo contestiamo o sosteniamo, lui c’è e resta: non possiamo prescinderne e se non lo facessero più lo rimpiangeremmo in tanti.
E se qualcuno – come la sottoscritta – vi dirà che comunque è un bel gioco…beh, lasciatelo giocare.
Grazie dell’attenzione e della pazienza: senza di voi questo gioco per me sarebbe stato infinitamente meno divertente.
Ed ora basta: si volta pagina. Domani è un altro giorno: domani, su Rai 1, ritorna “Il commissario Montalbano”, …#perdire…
Giancarla Paladini
Foto: con Simone Cristicchi (archivio personale)