…E così, il Nobel 2016 per la Letteratura è stato assegnato a Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan.
Legittime tutte le reazioni alla notizia: quelle degli entusiasti, quelle degli interdetti, quelle degli scandalizzati, però…
Però penso che bisognerebbe anche leggere le motivazioni del riconoscimento: l’Accademia di Stoccolma ha infatti spiegato che Bob Dylan “… Ha creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana”.
Bene: soffermiamoci sulle parole usate. A Stoccolma hanno parlato di “poetica”: se cercate in un vocabolario che cosa questo termine significhi (io ho consultato il “Sabatini Colletti”) troverete che per poetica si intende:
1:“L’Insieme di proposizioni teoriche relative all’attività artistica e, in particolar modo, letteraria, che ne offrono una chiarificazione sotto il profilo descrittivo ed eventualmente storico
2 Concezione della poesia elaborata da un autore, da un movimento poetico o culturale ecc.; estens. norma su cui si fonda qualsiasi produzione artistica.”
Le parole hanno un peso, e qui il peso è pure notevole: a Bob Dylan è stata riconosciuta non solo una grande influenza sulla canzone tout- court, ma una vera e propria capacità innovativa nell’ambito dell’espressione “artistica e, in particolar modo, letteraria”; se ci fossero ancora dubbi, la seconda accezione riportata dal vocabolario recita definitivamente che la poetica è una “ norma su cui si fonda qualsiasi produzione artistica”. Dylan, cioè, secondo l’Accademia ha cambiato, migliorandole e arricchendole, le regole di un intero genere: non mi pare cosa da poco.
Aggiunge la “Treccani”: “L’accezione di poetica come teoria della letteratura nasce dal costituirsi del campo semantico relativo al termine letteratura come estensione e riorganizzazione del campo di ‘poesia’, tale da includere anche opere che non sono poetiche in senso stretto (non sono, per es., scritte ‘in versi’) e nelle quali sarebbe tuttavia dominante o codominante la funzione poetica del linguaggio: essa è incentrata sul messaggio come tale; è l’idea della poesia come un testo che richiama anzitutto l’attenzione su se stesso, sul modo in cui è costruito, sull’organizzazione del verso e del periodo, sul carattere specifico, insomma, del suo significare.
Va notato che il termine letteratura è in tal senso tutt’altro che pacifico, in quanto può riferirsi a qualsiasi testo scritto o solo a certi testi, con esclusione di altri, secondo criteri che dipendono dalle concrete condizioni storico-culturali in cui opera via via il classificatore (non escluse condizioni di gusto personale, psicologiche e così via).
Da questo punto di vista è addirittura impossibile una definizione univoca dell’oggetto della p., e di fatto accade ancora che le cosiddette storie della letteratura si occupino di testi ritenuti e definiti letterari secondo un criterio materiale, accolto tale e quale da una determinata tradizione storica (poesia, novella, romanzo ecc.), e facciano un qualche posto ad altri testi estremamente eterogenei e non letterari nello stesso senso dei primi (cronache, trattatistica, la cosiddetta prosa scientifica ecc.).
Ma ciò che costituisce un problema difficilmente risolvibile per la storia della letteratura, in quanto a essa si richieda di distinguere i testi letterari dai non letterari, può forse porsi in modo sensibilmente diverso per la poetica, il cui oggetto non sono tanto certi testi materiali, quanto piuttosto certi loro aspetti formali che possono essere adeguatamente esemplificati da molti altri testi, letterari o non da un punto di vista materiale”.
Come si vede, dato che vocabolari ed enciclopedie sono state scritte ben prima che il Nobel 2016 venisse assegnato, la questione è annosa e poco risolvibile se la si basa sul sentire personale, ma chiarissima se si applica il metodo “scientifico”: a Stoccolma sono stati, appunto, scientifici, non sentimentali.
Sia ben chiaro che questa mia non è una difesa d’ufficio dell’Accademia o di Bob Dylan, perchè non sono – né vorrei essere – una di quelli che pontificano sulla base di una loro pur legittima e articolata convinzione: tuttavia non posso fare a meno di pensare che il problema e le polemiche nascano dal fatto che Dylan ha espresso questa sua poetica innovativa della tradizione canora del suo Paese in musica, appunto, e non sulle pagine di un libro.
Qualcuno ha detto: “Oramai il Nobel per la Letteratura è diventato una specie di generalizzato “premio per le Arti”.
Premesso che se anche così fosse non solo non ci troverei nulla di male, ma saluterei l’innovazione come positiva, stiamo attenti a non cadere nell’altra questione di lana caprina e cioè: siamo sicuri, ma proprio sicuri sicuri, che sia il supporto a definire la qualità dello scritto? Che sia cioè più nobile, e dunque degno di essere considerato Letteratura, ciò che viene stampato in prosa o versi, rispetto a ciò che viene cantato?
… Perché, se così fosse, allora dovremmo dire che tutti coloro che pubblicano libri sono scrittori, poeti, letterati: io, nel mio piccolo, invece mi chiedo spesso come sia possibile che qualcuno spenda denaro per pubblicare e acquistare certi testi e da che cosa derivi il successo di alcuni autori dei quali non riesco proprio a capire la grandezza. E’ un problema mio, certamente: non sono abbastanza colta e intelligente per comprendere ciò che alla massa appare chiarissimo e, del resto, non sono – né vorrei essere – un “critico” che segna nel suo libro nero i buoni e i cattivi.
E ancora: perché il Teatro, che è parola scritta e poi detta, può essere considerato Letteratura e invece il testo di una canzone, che è parola scritta e poi cantata, no?
Se è vero, come è vero, quello che ci hanno insegnato e cioè che Omero si accompagnava con la cetra mentre poetava, se “canzone” è (cit “Sabatini e Colletti”) un “Componimento lirico originariamente accompagnato da musica, composto da un numero variabile di strofe (o stanze) con versi e rime opportunamente regolati, e da un congedo (o commiato) più breve“ e che “canzoni” hanno scritto Dante, Petrarca o Leopardi, non può essere il genere a venire contestato.
Allora lo è forse il Robert Allen Zimmermann di cui sopra?
Beh, certamente in molti suoi testi Bob Dylan (che all’indomani della notizia, mentre tutti ci affannavamo a dire la nostra, non ha espresso alcun commento nemmeno sul suo sito ufficiale) appare egotico, cinico, magari anche un filino maschilista e chi lo ha conosciuto nella sua quotidianità ha rivelato persino una sua scarsa propensione all’igiene personale ( “Il fenomeno che non si lavava mai”, cfrt J. Baez, “Diamonds and rust”): però non ci sono dubbi sulla sua grandezza come narratore di storie. Semmai da Italiana posso dispiacermi che, come ha scritto molto opportunamente il grande Maurizio de Giovanni, in passato non siano stati insigniti dello stesso riconoscimento giganti come Fabrizio De Andrè o Eduardo De Filippo. Del resto, questo sì, l’Accademia non è né onnisciente, né infallibile:… oppure i tempi non erano ancora maturi.
Anzi: a questo proposito arrivano giuste le parole del Nostro, che nella sua “The Times They Are A-Changin'” scriveva (e cantava):
“Venite scrittori e critici
che profetizzate con le vostre penne
e tenete gli occhi ben aperti
l’occasione non tornerà
e non parlate troppo presto
perché la ruota sta ancora girando
e non c’è nessuno che
può dire chi sarà scelto.
Perché il perdente di adesso
sarà il vincente di domani
perché i tempi stanno cambiando”
Il testo, incredibilmente profetico, è stato scritto da Bob Dylan nel 1964, cinquantadue anni prima del Nobel: io la chiamo “preveggenza dell’Artista”. Per dire.